S ono stato segnalato. Sì, segnalato nientemeno che a Zuckerberg, l’inquisitore del Terzo millennio. Il mio nome è stato scalpellato sulla tavola di proscrizione di Facebook, il social network della religione laica del XXI secolo. Lui ne è fondatore e padrone dispotico. Ha istituito un tribunale etico di cui si è proclamato giudice supremo. Chiede che gli venga segnalato chi, navigando nel suo ciberspazio, è andato fuori rotta. Le norme del suo codice sono variabili e in costante aggiornamento; attingono dal politicamente corretto, camicia di forza che avvolge e stritola la libertà di espressione. Parole sconce, invettive, bugie colossali sono ammesse: principio giusto e da difendere a tutela della diversità delle idee. Guai però a chi deflette dal conformismo del Pensiero Unico imposto da sparuti gruppi sociali in perenne stato di agitazione verbale e motoria. Marciamo verso la dittatura delle minoranze. Il clima sta diventando intimidatorio. Sento affievolirsi il mio diritto di dire alle persone anche ciò che non vogliono sentirsi dire. Ignoro chi sia il mio delatore. Forse è un chierico vagante nell’etere. Il quale non sa, però, che io non appartengo al gregge virtuale di Facebook. Lo confesso sapendo di rischiare la scomunica del Sinedrio. E l’accusa infamante di razzismo culturale.

© Riproduzione riservata