“L ’arte di tacere”. É il titolo di un libriccino che Giorgia Meloni avrebbe dovuto regalare a Ignazio La Russa prima di farlo eleggere presidente del Senato. Lo scrisse intorno al 1770 l’abate Dinouart, predicatore, polemista e canonico francese, uno dei cosiddetti “ecclesiastici mondani”, che nel secolo dei lumi non rinunciavano ai piaceri delle alcove. Scrisse molto e scopiazzò altrettanto. Tra l’altro un libello su “Il trionfo del sesso”, che gli costò la scomunica. Rivoluzionario prima ancora che la rivoluzione scoppiasse, nell’“Arte di tacere” consiglia che «bisogna parlare solo quando si ha qualcosa da dire che valga più del silenzio … perché quando si sarà imparato a mantenere il silenzio si saprà parlare in modo appropriato». Due pillole di saggezza oratoria che i politici gravati di responsabilità istituzionale dovrebbero assumere come farmaci antivirus. Se Meloni avesse regalato quel libretto a La Russa e il destinatario lo avesse assimilato ci saremmo risparmiati uno stupidario di botta e risposta tra sinistra e destra, stucchevole quanto il catechismo dell’antifascismo. Che le insulse polemiche sviliscono togliendogli la dignità assegnatagli dalla Storia. (Il consiglio vale non solo per La Russa, che rispetto agli altri ha solo l’aggravante di un pizzetto satanico e una risata mefistofelica).

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