D ue titoli allarmanti sono comparsi nello stesso giorno nella prima pagina di un blasonato quotidiano nazionale. Aggiornavano i lettori su due conflitti che tengono l’opinione pubblica con il fiato sospeso. Il primo, alla destra dell’editoriale, prospettava una speranza: «Guerra ucraina, dietro le quinte forse si tratta»; il secondo, nel centropagina, annunciava una via d’uscita già intrapresa: «Totti e Ilary, gelo in aula, ma si tratta». Nella narrazione dei fatti, in un caso e nell’altro, ricorrevano quattro vocaboli: guerra, trattative, intermediari, ostilità. Entrambi gli articoli avevano a corredo ampie foto: Putin e Zelensky sopra, il Pupone e la showgirl sotto. Forse è l’uso improprio delle parole a trarci in inganno, ma quell’accostamento e quel livellamento ci sembrano inverecondi, al limite dell’immoralità. Quando si parla con troppa indifferenza di “guerre” bisogna separare di netto quelle vere e tragiche da quelle da avanspettacolo. Da una parte scambi di prigionieri torturati, dall’altra scambi di Rolex, scarpe e borsette griffate. Tutto, certo, ha diritto di cronaca; evitiamo però di contaminare il sacro dei morti in battaglia con l’avanspettacolo giudiziario di un pupone e una starletta: come accostare il poema omerico sulla guerra di Troia a quello eroicomico della “Secchia rapita”.

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