L a primavera, la poesia. L’altro ieri, 21 marzo, era la giornata mondiale celebrativa della poesia. Ve ne siete accorti? I media non hanno battuto la grancassa come fanno di solito per annunciare le ormai innumerevoli giornate internazionali, comprese quelle delle giraffe, delle tartarughe, dello squash, della giocoleria, dell’orgasmo. Eppure, secondo una statistica attendibile, in Italia scrivono poesie milioni di persone. Un esercito di versificatori, non di poeti, anche se ognuno di loro crede di esserlo. In un’epoca arida come l’attuale c’è più che mai bisogno di poesia. E di poeti. Quelli veri sono stati sempre pochi in ogni tempo, e spesso ignorati. I grandi poeti sono spiriti liberi, che esplorano gli spazi sconosciuti del mondo e illuminano la coscienza vasta dell’umanità. I loro pensieri sono profondi e leggeri, sospesi tra l’essere e il non essere. Le loro parole hanno forza creatrice, sfidano la memoria catalogatrice degli storici e quella ancestrale dei sacerdoti. La loro memoria è quella di Omero e Dante, Shakespeare e Milton: dal paradiso perduto a quello ritrovato, dalla perdizione alla redenzione. Sono gli inconsapevoli conoscitori della verità. Profeti inascoltati, creano universi e divinità. Certuni scrivono perché, nella loro nobile follia, sono convinti che Dio li legga.

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