La grande illusione
Caffè Scorretto
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S era del 25 dicembre 1991. Per noi è Natale, a Mosca è un giorno come gli altri. Ma non del tutto, tanto che passerà alla Storia. Ore 21: dagli studi del telegiornale Michail Gorbaciov, presidente dell’Unione Sovietica, parla al popolo. Attesa febbrile, speranza e depressione si alternano nell’immensa platea. Il discorso dura solo undici minuti. Cari compagni … «ha vinto la disintegrazione dello Stato. Io non la condivido, ma questa è la realtà. I cittadini hanno perduto il loro Paese. Vi parlo per l’ultima volta come presidente». In quel momento scompare l’Urss e riappare la vecchia Russia. Un titubante passo indietro per farne uno grande avanti. Fummo in molti a crederlo. Bandiera rossa ammainata, il tricolore degli zar garrisce di nuovo su Mosca. Leningrado ha ripreso l’antico nome di San Pietroburgo, la Chiesa ortodossa rivive i suoi antichi splendori. Serpeggia una finzione di libertà democratica e di liberismo economico: ma a beneficio di una sola casta, nuova con i vecchi artigli. Il comunismo è morto, esultammo, ucciso dai nipoti di chi lo aveva fatto nascere. Oggi, 31 anni dopo, sappiamo che fu una grande illusione. Il comunismo ha covato sotto la cenere del Cremlino. E sotto altre specie è tornato. Antico gioco della matrioska russa: fuori c’è un finto zar, dentro un vero Stalin.