G iuseppe Conte conosce l’italiano. Lo parla gloglottando per un difetto fonetico naturale, ma non commette errori gravi. Solo veniali, come tutti. Perciò insospettiscono quei due congiuntivi malandrini sfuggitigli qualche tempo fa durante una conferenza. Troppo clamorosi. Tanto da supporre che fossero astutamente volontari. Quando l’ex premier si propose come condottiero del Movimento 5stelle i grilli si domandarono: «Ma questo qui è veramente dei nostri?». Non avevano tutti i torti a dubitarne. Durante il suo lungo soggiorno a Palazzo Chigi Conte aveva spergiurato di non appartenere ad alcun partito, nemmeno idealmente. Perciò la sua dichiarazione di fede andava verificata. Quale prova migliore del congiuntivo, che per i grilli ha valore iniziatico? Chi la supera, «grillo è». Per fugare ogni dubbio l’ex premier si presentò all’esame e declamò l’ormai famosa frase: «Non possiamo tollerare che arrivano dei migranti, addirittura positivi, e vadino in giro liberamente». Due errori in nove secondi. «È proprio uno dei nostri» sentenziò Di Maio, gran maestro del congiuntivo. «Sarà la sesta stella del nostro Movimento» esclamò giuliva la vestale della “congiuntivite” Barbara Lezzi. E lui, il Conte dimezzato, parafrasando Enrico IV, sornione sospirò: «Due congiuntivi valgono bene un partito».

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