U n campionato mondiale di calcio lascia una scia di immagini più o meno piacevoli. Tra le altre, il divieto di consumare alcolici, una mazzata per l’americana Budweiser, in un Paese dove i ristoranti utilizzano bicchieri neri, provate a immaginare perché. Dopo la finale, a riempire gli occhi sono le prodezze di Lionel Messi, la tripletta di Kylian Mbappè, la coppa sollevata al cielo dagli argentini festanti. E la festa dei corsi a Bastia e Ajaccio per la sconfitta della Francia. Oddio, c’è anche l’immagine dell’argentino Emiliano Martinez che in mondovisione utilizza il premio di miglior portiere come appendice sessuale, e ancora l’insofferenza di Mbappè agli abbracci e alle parole di Macron, che risulta essere il presidente della Francia nonché uno degli uomini più potenti al mondo. Qualora non ve ne foste accorti, i calciatori sono interessati a due cose soltanto: i soldi e le vittorie, che portano altri soldi. Tanti anni fa il Barcellona, in tournée in Sudafrica, venne invitata a incontrare Nelson Mandela, uno dei giganti della storia dell’umanità. Andarono solo l’allenatore Guardiola e tre giocatori. Ma l’immagine più vivida che mi rimane è quella degli sceicchi qatarioti: alle premiazioni hanno stretto le mani a tutti tranne che alle due arbitre. Ma l’importante - come dice il presidente Fifa Infantino - è tirare calci al pallone. I diritti sono un optional. Come il cervello in qualcuno.

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