P artita a tennis nucleare tra Macron e Putin. Il primo: «Non escludo l’invio di truppe in Ucraina»; il secondo, attraverso il suo portavoce Dmitri Peskov: «Se accadrà non ci sarebbe la probabilità di un conflitto, ma l’inevitabilità». Che genere di conflitto? Lo zar comunista risponde: «Siamo pronti a una guerra atomica. Le armi sono fatte per essere usate». Di rimando, il bellimbusto dell’Eliseo: «Rivendico le mie parole, la Russia non deve vincere». La locuzione “conflitto nucleare” è stata esorcizzata. Purtroppo. Ora se ne parla a cuor leggero, con distacco e indifferenza. Ai tempi della guerra fredda, per farvi riferimento, si usavano metafore dietro le quali si celava la paura; ora risalta nei titoli delle prime pagine dei giornali. Se ne discute anche nei frivoli talk show televisivi: con superficialità e incoscienza, come quella di bambini che scambiano per giocattoli le bombe a mano. I governanti delle cosiddette Potenze stanno disputando una partita a poker con rilanci e bluff, che per un errore involontario potrebbero terminare in una distruzione globale. Soprattutto quando al tavolo siede un paranoico dalla conclamata vocazione criminale, incline al cupio dissolvi. Dentro la matrioska che ha la faccia imbolsita di Putin si nascondono i baffi neri di Hitler e quelli rossi di Stalin. Il diavolo non ha un colore preferito.

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