I eri Antonella Zedda, eletta in Senato con FdI, intervenendo in Aula ha chiesto alla presidenza di chiamarla senatore e non senatrice quando le dà la parola. D’altra parte “ho controllato e la corte d’Appello mi ha proclamato senatore”.

Potremmo riempire questa e mille altre rubriche chiedendoci se abbia torto o ragione, o con spiritosaggini su “Palazzo Messere e Palazza Madama”, ma sarebbe inutile e inopportuno. Zedda non vuole imporre regole politico-grammaticali valide per l’universo mondo: parlava di sé. E nessuno può decidere per conto suo quale appellativo le spetti o debba preferire: il genere attiene all’identità, e quando si parla di identità individuali non ci sono argomenti politici o anatomici che tengano. È chiaro che in questo caso la scelta di farsi chiamare senatore e non senatrice ha una netta connotazione tradizionalista, conservatrice, di destra o trovate voi un altro sinonimo: si richiama e si collega al periodo in cui chi frequentava e componeva quella Camera era per definizione un senatore. È legittimo? Sì. Pienamente. Purché.

Purché sia legittimo sempre, senza scomodare fantomatiche “teorie gender” quando l’autodeterminazione di chi abbiamo di fronte (o a sinistra) ci convince meno, o si richiama a tradizioni e ambizioni ideali differenti.

La libertà o è per tutt3 o non è.

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