A sinistra e dintorni c’è una tale ansia di trovare qualche dettaglio rassicurante nella nuova coalizione di destra-destra che governerà il Paese che poi le cose più evidenti, gli elementi davvero macroscopici sfuggono allo sguardo.

E quindi sì, va bene che Meloni e Draghi si danno del tu (un bel sollievo, effettivamente) e che la cerimonia della campanella è corsa via serena e che il nuovo governo si avvarrà della consulenza di Cingolani (che magari non sarà un bastione del bolscevismo però insomma era nel governo precedente…).

Va tutto bene, soprattutto per chi sente la pressante necessità di consolarsi con l’aglietto, come dicono i romani. Ma allora perché ignorare la questione lessicale? Come è noto Giorgia Meloni ha mandato in tilt le redazioni Rai notificando che preferisce essere definita “il presidente” del Consiglio e non “la presidente”. In sostanza Meloni – dichiaratamente donna, madre e italiana – ha deciso che c’è un aspetto piuttosto ampio della sua esistenza in cui sente di interpretare un ruolo maschile. E quindi chiede che questa sua percezione maschile di sé venga rispettata. Contro ogni convenzione linguistica tradizionale, contro ogni evidenza anatomica e anagrafica.

Animo compagni, questa sarebbe la quintessenza dell’ideologia gender. Se esistesse.

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