Draghi era ancora nell'anticamera di Palazzo Chigi e già lo incensavamo per partito preso ("Che umile, prende appunti con la biro!"). Poi l'uomo della Provvidenza è stato promosso a Uomo della previdenza, visto che ha accettato la sfida della riforma pensionistica, ed è asceso di altri tre cieli. Poi la sberla a Erdogan e giù applausi. Ma ora siamo proprio alla teocrazia. Per dire: l'altro giorno a Oporto è stato spesso interrotto dallo strillo di un pavone, simbolo vivente della vanità (i leghisti consideravano Conte la quintessenza del pavone, con le pochette e l'orologio a cucù al polso, i grillini accusavano di pavonismo Salvini, coi mille cappellini da poliziotto, barracello o palombaro). Perciò il presepe vivente del premier che lascia strepitare il pavone con un sorrisetto e poi riprende a dire cose sagge, così come lascia strillare la politica e poi manda avanti la baracca dei vaccini e del Recovery, è stucchevole come tutte le trovate troppo teatrali. Insomma, alla fine quest'uomo effettivamente molto competente e autorevole ce lo faranno diventare antipatico, perché chi è troppo baciato dalla stampa e dalle coincidenze alla fine stanca, soprattutto se è così migliore di chi lo sostiene in aula e di chi lo slecchina. In fondo è il rovescio di Conte, che era più scarso di quanto l'emergenza Covid ci permettesse di dire, ma comunque spesso era meglio di chi lo attaccava. 

Celestino Tabasso

© Riproduzione riservata