G iuseppe Conte è, a suo dire, un politico. Si muove sinuosamente tra codici e pandette, ma non disdegna l’ornitologia. Pare che abbia studiato bene le abitudini della specie cuculus canorus e ne imita il comportamento. Il cucùlo, come si sa, depone le uova nei nidi di altri uccelli, cui affida la cova e lo svezzamento dei piccoli. E se provassi a entrare anch’io nel nido di un partito per deporvi le mie uova fecondate con il seme delle mie idee?, si è detto in un momento di autoesaltazione. Non potendo raggiungere un nido di aquile per sua congenita incapacità al volo ha ripiegato su una famiglia terrigna e scombiccherata come quella dei grilli. Vi riporterò ai fasti dei vostri trionfi, ma dovete ubbidirmi. E tu, piccolo Di Maio, smettila di fare il ministro degli esteri telecomandato tutto bombe e carri armati. La linea del partito cui appartieni è la mia. Allìneati o dimettiti. Questa è l’ultima diffida, dopo c’è l’espulsione. Un’onta intollerabile per il miniorgoglio di Giggino: prima che mi cacci me ne vado. Detto, fatto. Come la pallina di un flipper rimbalza da Draghi a Mattarella, compare in Tv con l’abito della cresima e ripudia il suo passato. Poi annuncia la sua fuga dal Movimento, di cui intona il de profundis. Uno non vale più uno, Conte vale niente e un partito vale l’altro.

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