C he Giorgia Meloni abbia fatto cosa buona e giusta lavorando sottotraccia nelle sedi diplomatiche e nelle stanze della politica per strappare dal carcere egiziano il ricercatore Patrick Zaki , è scontato. I bacchettoni precisano: ha fatto quello che ruolo e coscienza imponevano. La decisione del giovane di rifiutare il rientro in patria con il volo di Stato e prestarsi al selfie di gruppo con ministri, sottosegretari, cardinali, ambasciatori e cavalieri festanti ha aggiunto il particolare che spolpa la sostanza, come spesso succede in questo nostro Paese. Aver rimediato timidamente, forse dopo qualche tirata d’orecchie, con un “grazie Governo” è stato giudicato da tastieristi e commentatori privo del minimo bon ton e poco gratificante verso chi si era data da fare per farlo uscire dall’hotel “Pane e acqua”. La riconoscenza è un sentimento che umanizza e gratifica l’atto istituzionale, come chiudere una chiamata con il 112 o 118. Non è un obbligo ma se manca si nota. Giorgia Meloni, da politica abile e attenta, ci è passata elegantemente sopra: “Non l’ho fatto certo per avere riconoscenza”. Ridotta all’osso la vicenda ripropone il tema della gratitudine che ben si sopporta quando il bene si fa senza per questo aspettare niente in cambio. Ma il sardo che dice la verità è più diretto: “fae bene e bae in galera”.

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