M aggio 1954, alla Camera dei deputati si parlava della (dis)continuità territoriale. Un sottosegretario all’industria così concionava: “I sardi vogliono l’equiparazione delle tariffe dei trasporti e cioè che il tratto di mare che li divide dalla Penisola costi negli spostamenti dall’Isola all’altra sponda quanto costerebbe l’eguale tratto in ferrovia. Ma non pensano i sardi che di questa agevolazione godrebbero anche gli spostamenti dalla Penisola verso l’Isola”. La dura risposta di Salvatore Mannironi, allora sottosegretario ai trasporti, può essere tradotta in una parola: “E allora? o, alla sarda, “embè? “. Sono passati settant’anni ma la proposta è ancora la stessa. I sardi chiedono di spostarsi in qualunque altra regione pagando per i chilometri da percorrere in nave o in aereo, il costo del biglietto ferroviario. Riconoscere a chi arriva nell’Isola lo stesso trattamento è un altro discorso. Bisogna fare i conti con le finanze, certo. Roma non può tirarsi indietro e la regione faccia una scelta: contributi a pioggia o sviluppo? Al governo che vota il ponte sullo Stretto chieda, non con il cappello in mano, di essere messa nella stessa condizione delle altre regioni superando l’immutabile ma non irrimediabile fattore geografico. Basta con i bla bla e le solite promesse. I sardi sono pazienti, una fregatura ci può stare ma qui si è perso il conto.

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