P ossiamo darci tutte le arie che vogliamo, ma nel nostro sottofondo psichico lavorano gli automatismi che abbiamo assorbito da bambini. Per cui se uno dice “guardie” l’altro risponde “ladri”, non “uso responsabile della forza, nel rispetto del diritto costituzionale di pensiero e di espressione”. Stringi stringi, la cosiddetta informativa di Piantedosi alle Camere si è giocata su questo. Sottolineare «il diritto degli appartenenti alle forze di polizia di non subire processi sommari» e dire che «sono lavoratori che meritano il massimo rispetto» apparentemente è una banalità da un quintale, in realtà è il sussurro subliminale che se chiedi conto dell’operato di alcuni agenti (e non di tutti «gli appartenenti alle forze di polizia») stai dalla parte dei ladri, dei violenti, dei “centri sociali”. E pazienza se i facinorosi di Pisa erano armati di diari scolastici o al massimo di merende pericolosamente ipercaloriche.

La qualità del discorso pubblico (esageriamo ma non troppo: la coesione civile di un Paese) dipende anche dal rispetto della verità. Chiamare “processi sommari” le critiche alla gestione brutale di un evento inoffensivo - o “manifestazione non autorizzata” un corteo spontaneo, come si fa a destra quando il corteo non è di destra - non è onesto. Non si trattano i cittadini da bambini. Né i ragazzini da black bloc.

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