D opo aver più o meno deglutito la cancellazione del suo “Pomeriggio 5”, ieri Barbara D’Urso ha dichiarato: «Ho fatto tante trasmissioni in cui c’erano cose buffe, cose divertenti, cose anche estreme a volte, ma sempre perché mi venivano chieste. Non è che la mattina mi svegliavo e decidevo di fare un certo tipo di televisione, ma questa è un’altra storia».

Da un punto di vista tattico vuol dire: inutile che Mediaset mi scarichi per ripulirsi l’immagine, il trash mi veniva indicato come linea aziendale. Invece da un punto di vista esterno, soprattutto nella formula usata dalla agenzie di stampa per riassumere tutto in un titolo, “La tv trash? Mi veniva chiesta”, richiama irresistibilmente quel vecchio “obbedivo agli ordini” che abbiamo sentito tante volte scandito da militari sotto accusa. Il punto è questo: quelli non erano ordini di gente in uniforme, quella con il popolo non è una guerra. Lasciamo stare la vecchia idea romantica che la tv debba educare: si può intrattenere senza pretese, c’è la libertà di pensiero e c’è anche quella di svuotarsi la testa e rilassarsi. Ma il trash non è una camomilla innocua: nutre le paure e le morbosità, e ciò che rovina il gusto rovina anche le coscienze. Barbara D’Urso – e lo sa benissimo – ha svolto un’azione politica. Non la rinneghi.

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