U n consigliere regionale, anni fa, aveva l’abitudine di infilare tra una parola e l’altra un “boh”. Tipo: “onorevoli, boh, colleghi, intervengo, boh, per fatto, boh, personale”. Al presidente del Consiglio, che gli ricordava l’abuso dell’intercalare (“onorevole, per favore, boh non è un termine parlamentare”), pronta la sua risposta: “presidente, boh dico e boh ripeto”. Il no degli italiani ricorda il boh del consigliere regionale: non ne possono proprio fare a meno. Sempre e comunque no, controcorrente come il salmone che anche con una vocale in più non diventa Salomone. Si tratta di minoranze multicolori che hanno tutto il diritto di dire e protestare senza mai però dimenticare che qualche volta anche le maggioranze hanno ragione. Il campionario è vasto: no Vax, no Tav, no Green pass, no al nucleare, no alle fonti alternative, no alle Olimpiadi, no al Catasto, no alla carbonara con cinque uova, no al vino analcolico. No urlato nei bar, in Parlamento, nei condomini, nelle piazze, stampato nelle vetrine e oscurato dalla rabbia. È vero che la libertà del dissenso rende più credibile il consenso. Ma con giudizio. Bloccare un porto produce solo danni, dire no alle Olimpiadi perché c’è il rischio di infiltrazioni è una boiata pazzesca. “Sono contumacio e dissidento, io dissido”. Ma questo era Totò.

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