È un classico: la giustizia si rifà a una legge universale, l’equità a caso per caso. Una certa scuola di pensiero sostiene che la giustizia umana non può essere giusta ma deve essere equa con richiami all’imparzialità che impone trasparenza. Ai cittadini poche parole ma chiare in luogo dell’ampollosità togata. Perché i giudici della Corte d’Assise di Modena, qualche settimana fa, hanno condannato a trent’anni e non all’ergastolo Salvatore Montefusco di 70 anni, per aver assassinato la moglie e la figlia? Perché un fatto così grave non ha portato al “fine pena mai”? Data l’età 30 anni o ergastolo poco cambia, il cittadino è interessato a capire quali sono state le motivazioni che hanno sorretto la concessione delle attenuanti generiche. In pillole, queste: frustrazione e shock emozionale. Vecchie ruggini familiari. Anni fa un giudice tedesco decurtò la pena a un operaio sardo che lavorava alla Volkswagen accusato di aver ucciso un collega. Gli isolani si arrabbiarono quando la guerriglia pop puntò il “sardo” in quanto tale. Quel giudice poi spiegò che l’imputato era colpevole ma non nella stessa misura di un altro che non era passato dall’ovile del Gennargentu a imbullonare auto in Germania. In attesa che Elon Musk spieghi a noi terrestri la giustizia “marziana” e il ministro Carlo Nordio sbrogli l’italiana non resta che sopportare quella umana.

© Riproduzione riservata