«Q ui o si fa l’Italia o si muore» disse Garibaldi al generale Nino Bixio, che nel bel mezzo della battaglia di Calatafimi suggeriva la ritirata davanti alle preponderanti forze dell’esercito borbonico. «Si fa l’Italia o si muore», gli fa eco 162 anni dopo Giorgia Meloni. Quella citazione, che suggerisce l’urgenza di una condotta decisa, è sembrata un po’ … garibaldina: ossia generosa, ma avventata; di giovanile baldanza, ma temeraria. Quando retorica e enfasi s’incontrano può accadere che le parole superino gli steccati della prudenza, la virtù cardinale che è propria dell’anima razionale. Più che nelle azioni, dove è requisito necessario, la prudenza oggi è indispensabile nelle parole. Gli archivi elettronici conservano anche i sospiri, basta un clic per farli riaffiorare. Riemergono dal passato parole e frasi che, estrapolate dal contesto sociale e ambientale in cui furono pronunciate, possono essere strumentalizzate. È un trucco praticato dai politici di ogni partito: sinistra, destra, centro e periferia. Signora Presidente, signora Giorgia, chiarisca quale Italia vuole “fare”; non resti nel generico come Garibaldi, che a Bezzecca, dopo una battaglia vinta, fu costretto a dire «Obbedisco». E sia cauta nelle citazioni. Garibaldi era bellicista e sciupafemmine. Politicamente molto scorretto.

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