Se un giorno di primavera un viaggiatore volesse prendere il treno col suo cane di taglia media, preventivamente documentandosi sul web apprenderebbe che su Trenitalia i cani come il suo pagano metà di un umano (quelli piccoli stanno gratis in grembo all'umano di riferimento). E però se quel viaggiatore fra tutti gli itinerari possibili optasse per un suggestivo Sassari-Cagliari o viceversa, scoprirebbe dalla viva voce del bigliettaio e subito dopo dai valori stampigliati sul tagliando che – per quanto il logo Trenitalia sia il medesimo che sul web annunciava prezzo pieno per i bipedi e dimezzato per i quadrupedi – i cani sardi, o se preferiamo i cani dei sardi, pagano prezzo pieno come i padroni. Come ogni cosa, anche questa può essere letta attraverso il prisma dello sfottò. La si può illuminare di rivendicazionismo mesto ("Da noi anche la cortesia è a scartamento ridotto") o di esultanza anticasta ("Basta privilegi per cani e porci. Cominciamo dai cani") e via così. Ma a forza di girarsela in mano, questa scortesia al cane e al padrone, rimane l'eterno aroma fra sovietico e post-sabaudo che aromatizza il servizio pubblico sardo. E resta una domanda: davvero è indispensabile questo sgarbo? Da tempo sappiamo di non essere una regione turistica. Se provassimo almeno a diventare una regione meno antipatica?

Celestino Tabasso

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