A i conteggi delle vittime del Covid, in piena pandemia, non ci eravamo mai abituati. A quello delle vittime civili in Ucraina invece sì, ma almeno se ne dà (ancora) notizia. Poi c’è un altro conteggio di morti che nemmeno seguiamo, in luoghi vicinissimi che invece ci sembrano lontanissimi: quello dei suicidi in carcere. L’ultimo ieri, a Uta. Dietro casa.

Sale a 32 il totale delle vittime nei penitenziari italiani, nel 2024: persone che, in carcere, hanno perso il senso della vita, e hanno deciso di perdere la vita stessa. Fa riflettere il fatto che i 32 suicidi in carcere nemmeno siano tutti di detenuti: tre erano poliziotti penitenziari, l’insostenibile sistema alla fine ha stritolato pure loro.

Non si uccidono gli ergastolani: il 32enne che l’ha appena fatto era stato arrestato sabato nel quartiere di San Benedetto a Cagliari, aveva rubato documenti e carte di credito da un’auto in sosta. Sarebbe uscito prestissimo, da Uta, ma forse ha pensato che vi sarebbe tornato ancora e ancora. Ed è evaso dalla vita, ché vita non sembrava più.

A buttare via le persone ammassandole, senza nulla da fare per tutto il giorno e nessuna prospettiva futura, non si recupera nessuno: nemmeno chi lo desidera. Lo Stato non provvede a umanizzare le carceri, così le persone “spariscono”. Succede quando uno Stato le considera rifiuti indifferenziati, già da vive. Succede da noi. Ogni tre giorni.

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