Quando il calcio era poesia. Ogni anno, e per molti anni, l’inizio del campionato di serie A coincideva con la messa in vendita delle figurine Fidass. Tredici giocatori per ogni squadra, niente fotografie ma caricature irriverenti dei calciatori. Si acquistavano nei bar e nei negozi di dolciumi. Spesso erano piccoli locali, che le persone anziane con termine antico, ma allora ancora in uso, chiamavano offellerie. Le figurine erano l’involucro cartaceo che avvolgeva rinfrescanti caramelle all’anice o alla menta prodotte da una fabbrica dolciaria di Serravalle Scrivia. Comparvero per la prima volta nell’immediato dopoguerra. Era il 1945 e i ragazzi appena usciti dall’immane catastrofe bellica si divertivano con poco perché poco c’era con cui divertirsi. I giocattoli erano di legno, la palla era di stracci. Le partite si “vedevano” ascoltando alla radio la voce inconfondibile di Nicolò Carosio, abile suscitatore d’immagini, che descriveva con fantasia, talvolta eccessiva, le azioni di gioco, le prodezze dei campioni, l’atmosfera degli stadi. La nostalgia, che quasi sempre c’inganna, fa apparire quel mondo migliore di quello di oggi. Le figurine Fidass ebbero molte imitazioni. Tra le altre, dicono i malevoli, i “santini” delle campagne elettorali: immaginette di candidati a cariche e prebende che sproloquiando promettono miracoli. Promesse di pallonari.

© Riproduzione riservata