S arà che Giorgia Meloni finora ha parlato poco e a voce piuttosto bassa, e da noi già questo basta per sembrare Angela Merkel. Sarà soprattutto che tra poco affronterà problemi insoliti e giganteschi - la crisi energetica, un’inflazione da anni del pentapartito, la minaccia nucleare da est, la pandemia che rialza ancora la testa, immortale come uno zombie crivellato di vaccini – ma alcuni dei molti italiani che non l’hanno votata stanno cambiando atteggiamento nei suoi confronti. L’idea di fondo è che se corri sul filo di uno strapiombo, anche se l’autista ti sta antipatico non ti sporgi dal sedile posteriore per fargli il solletico o prenderlo a schicchere sulle orecchie. In sostanza, dove non poteva riuscire il flebilissimo spirito repubblicano della nostra opinione pubblica sta riuscendo la paura del futuro.

Perciò le sue telefonate con Draghi suscitano compiacimento come se fossero dei capolavori istituzionali bipartisan, e i loro dissidi mettono un’ansia da scolari davanti a una lite in famiglia. E quando le trattative fra alleati sembrano incagliarsi sul tale o talaltro ministero, l’emisfero cerebrale più pragmatico dell’elettore progressista scandisce: ma basta coi giochini, lasciatele studiare i dossier. E l’emisfero più emotivo va in tilt e aggiunge apprensivo: che se a questa poveraccia non bastassero le sfighe, stanno pure arrivando i fascisti al governo.

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