D a qualche tempo - più o meno da quando governa la destra - la polizia ha l’identificazione molto facile. Anche per cose che sulla carta non hanno (o non dovrebbero avere) nulla di eversivo né di inquietante. Per dire: i ministri giurano sulla Costituzione, e quello degli Esteri l’altro ieri ha detto che il regime di Putin ha ucciso Navalny. Però quando alla Scala un cittadino ha urlato “Viva la Costituzione antifascista” poi ha dovuto mostrare i documenti, proprio come i milanesi che ieri hanno reso omaggio a Navalny. Il ministro dell’Interno Piantedosi dice che identificare un cittadino «non comprime una sua qualche libertà personale». Sarà, ma resta la sensazione che se il tipo alla Scala avesse urlato “Viva la pizza”, o se i milanesi avessero reso omaggio a Topo Gigio, nessuno gli avrebbe sbirciato la carta di identità. E resta anche un’altra sensazione, piuttosto sgradevole: se ti chiedono i documenti è perché sei o sembri un tipo sospetto, quindi intanto dimmi chi sei e dove vivi e che cosa fai, e poi forse aggiungiamo una riga a un dossier o forse no.

Poi magari ha ragione Piantedosi: la democrazia è solida e un cittadino perbene non ha nulla da temere. Ma allora perché un agente, che è un cittadino perbene per definizione, non può essere identificato dagli altri cittadini almeno attraverso un codice sull’uniforme, come l’Europa ci chiede inutilmente da tempo?

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