È interessante questa proposta di usare l’espressione “dislocazione involontaria” anziché “schiavitù” nei libri delle scuole elementari texane. Non tanto per la sua scintillante ipocrisia – è come definire “apnea giudiziaria” un’impiccagione - quanto perché il suggerimento è dato da nove tra docenti ed educatori di destra.

Noi siamo abituati a considerare il politicamente corretto uno sdolcinato patrimonio della sinistra, mentre la destra dice pane al pane e negro al negro. E invece ecco una contorsione lessicale che arriva da lì, da quell’area dove già le bugie di Trump venivano pudicamente proposte dal suo staff come “fatti alternativi”. Può sembrare un avvicinamento culturale tra due poli che oggi in America (e domani in Italia) sembrano condannati a non dialogare, ma purtroppo è il suo contrario.

E questo nonostante il cuore della faccenda resti in entrambi i casi il senso di colpa. Il linguaggio liberal serve ad espiarlo, e quindi è risarcitorio delle discriminazioni subite da chi non è bianco, maschio, etero, ricco, sano etc. Il linguaggio reazionario-suprematista invece è assolutorio (quella non era “schiavitù”, e comunque non sono io che ti ho reso ricchione, storpio etc). Forse c’entra alla lontana la cultura calvinista della predestinazione, o forse no. Di fatto a breve avremo lessici definitivamente diversi e non riusciremo più a parlarci. E saranno guai.

© Riproduzione riservata