H anno cominciato loro, ora accusano noi. Parlo di quella censura che ha vietato l’uso di parole e locuzioni diventate all’improvviso scorrette e di quel sinedrio di intellettuali progressisti americani che hanno stilato il prontuario dei termini da bandire. Che non sono quelli del linguaggio scurrile che, anzi, fa tendenza. La censura dei vocaboli è all’origine di quella follia che imperversa ormai da tempo in gran parte del mondo occidentale. È la prima causa della cancellazione della Storia, dello stravolgimento dei canoni del sapere, del rifiuto delle proprie origini culturali, dell’estirpazione delle radici religiose, dell’accettazione supina dei dogmi del culto pagano chiamato woke. Chi vi si oppone è considerato reietto e condannato all’emarginazione sociale. Donald Trump ha denunciato tutto questo come deriva della ragione e ha ingranato la marcia indietro. Con il consenso e l’approvazione dei conservatori, che in Europa e in America sono la maggioranza. Una tardiva ma utile resipiscenza. Non possiamo però accettare, senza rinviarle alla fonte, le parole di J.D. Vance, vice di Donald, che ci fa la predica accusandoci di non ripudiare abbastanza la censura ideologica del politicamente corretto e del suo vocabolario. Ricordiamogli che loro ne detengono i diritti d’autore e che noi europei siamo stati le loro scimmie ammaestrate e i pappagalli saccenti.

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