S tanno modernizzando le vecchie opere liriche. Non nella musica ma nell’identità dei personaggi e nell’ambientazione. Una ventata di novità si è abbattuta su Rigoletto, Manon, Carmen, Trovatore, Tosca, Traviata e le altre mille storie del palcoscenico melodrammatico. I registi innovativi dicono: odorano di muffa; anche se sono creazioni letterarie di grandi romanzieri e drammaturghi. I cosiddetti “creativi” hanno attualizzato quelle antiche storie sostituendo carrozze con automobili, spade con pistole, crinoline con minigonne, tuniche con pareo, pantaloni di panno con jeans e i balletti con le più erotiche lap dance. Ma ai seguaci dell’anticultura non basta. Bisogna ridisegnare anche le identità dei grandi musicisti e inserirli nel circuito Lgbtq+. Ecco allora Giuseppe Verdi vestito da trans: giacca fucsia, gonna appariscente d’organza multicolore, corpo femmineo, baffi, cilindro in testa. Compare così nella presentazione del festival organizzato in suo onore dal teatro Regio di Parma. La cui direttrice ha cinguettato: «La Queer night vuole rendere omaggio alla modernità di Verdi». Che, quindi, è moderno solo se di sesso incerto: come lo sono i queer. Il messaggio è chiaro: chi non è queer vive nel passato. Quella triste epoca dell’umanità in cui i sessi anagrafici erano soltanto due.

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