U n anno fa Giuseppe Verdi comparve travestito da transgender su manifesti e locandine del Teatro Regio di Parma: «per attualizzarlo», dissero gli imbecilli promotori della genialata. Nei giorni scorsi al Teatro Ponchielli di Cremona e al Sociale di Como è andata in scena La Traviata, riveduta e scorretta da un certo Luca Baracchini, regista avanguardista e, per ciò stesso, progressista e anticonformista. L’opera lirica verdiana si muove nelle atmosfere della società francese di metà Ottocento: allegrie, spensieratezze, passioni, drammi, morte. Un alternarsi di quadri e emozioni sulle ali di una grande musica. Ora basta con queste sdolcinatezze, ha pensato il Baracchini. E ha allestito un caravanserraglio in cui si agitano personaggi estratti da tutte le varianti del catechismo della comunità Lgbtqia+. Incroci sessuali, intersezioni e ibridazioni di genere sono spacciati come norma del vivere. La danza delle zingarelle, traslocata in una discoteca, è una scena eroticamente aggressiva: un festino bondage con frustini, maschere e borchie. Qui e là drag Queen e scene sadomaso. Il regista ha spiegato: «Volevo fare un Verdi contemporaneo». La sua Traviata in salsa trans e fetish, tutta sesso Lgbtqia+ e niente sentimento, è stata subissata di fischi. I politicamente scorretti sono ancora in maggioranza.

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