T oc toc. Un ribaldo bussa alla porta del Cremlino. «Chi è?» «Sono Prigozhin. Ciao Vladimir». «Che vuoi?» «Voglio fare un colpetto di Stato». «Lo so, lo so. Lo sanno anche la Cia e Biden. Però credono che sia una messinscena». «Lasciamoglielo credere». «Mi è giunta voce che stai marciando su Mosca. Ti ordino di tornare indietro». «Troppo tardi. Mi fermerò a 200 chilometri dai tuoi palazzi. Non voglio una guerra civile, questa è solo una marcia dimostrativa». «Dimmi che cosa vuoi». «Basta con la fellonia dei tuoi generali e le tue paturnie, voglio il comando». «Ti sei montato la testa. Ricordati che sei il mio cuoco, il vivandiere del Cremlino, un capobanda brutale, impasto di guerra e di morte. Senza di me non vali un copeco». «Sono io il tuo signore della guerra. Senza la mia brigata non avresti vinto neppure un wargame. Il tuo esercito è una tigre di carta». «Ti pago per fare il lavoro sporco. Nel covo della tua Wagner ci sono oro, droga e 43 milioni di dollari». «Troppo poco. Ora voglio il potere». «Il burattinaio sono io, tu sei il burattino, non invertire il gioco delle parti. Ti do un salvacondotto per andare in Bielorussia». «Non so se fidarmi di un bugiardo matricolato come te». «Non hai alternativa». «Ciao Vlad». «Alla prossima zingarata Evgenij».

A Mosca il vero è inverosimile, l’inverosimile è vero.

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