L a fonte è attendibile, tanto da rendere irreale la speranza di un errore. Scrive la Treccani che gli influencer possono condizionare in modo determinante le scelte del 90 per cento del pubblico della Rete. Gli internauti ai quali si rivolgono sono, fra gli attenti e i distratti, il 70 per cento degli italiani. Quindi il 63 per cento della popolazione è suggestionata dalle proposte, dagli stili di vita, dalle opinioni politiche, dai suggerimenti commerciali di questi personaggi di successo popolare. Forza diabolica dei social network. Gli influencer sono gli ideologi del nostro tempo, sintomo di una decadenza culturale a decorso rapido. I loro proclami aprono dibattiti, spesso sul nulla. I loro messaggi sono tarli che lavorano nelle teste più fiacche. Si arrampicano nel vuoto del Web, viaggiano alla velocità della luce, inseguono fama e fortuna economica. Sanno trasformare in gigantesche le cose nane, a loro affini; questa capacità li rende “influenti”. «Ogni mia parola sarà ascoltata, ogni mia sentenza ponderata, tramandata, stampata. Mi farò conoscere». Era la speranza di un aspirante influencer ante litteram. Si chiamava Fëdor Dostoevskij. Riuscì nell’intento, ma morì povero. Non diciamolo a Chiara Ferragni: potrebbe convincersi, dall’alto del suo conto in banca, di valere molto più di lui.

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