“N el rischio astieniti”. E infatti solo pochi hanno rischiato. Quella che con Marcello Marchesi passava per una battuta, dopo le elezioni regionali in Lazio e Lombardia, è realtà, metà degli italiani ha sostituito il “i care, me ne importa”, di don Milani con “me ne frego”. Il generico si rinforza nei dettagli: candidati debolucci e ritenuti poco meritevoli, la partita era persa quindi tanto valeva starsene a casa, loro son loro e noi nessuno. Emerge però una novità, da non trascurare. L’indifferenza che questa volta ha toccato le Regioni, cioè la parte dello Stato nata per essere più vicina ai cittadini e per far da contraltare al potere centrale. Tutto questo nel momento in cui con il ministro Calderoli prende quota il disegno di legge per dare più poteri, con allegato portafoglio, alle Regioni (non a tutte precisano da Roma a Buggerru) l’astensionismo suona come bocciatura dell’istituzione. Le Regioni sono ritenute, non senza ragione, staterelli poco efficienti e più lontani di Roma capoccia. Finché non salta fuori Carlo Calenda: “non sempre il popolo ha ragione”. Forse pensava a Bertold Brecht che al segretario del partito della Germania dell’est che accusava gli operai di aver tradito il Partito, rispose: “il Comitato centrale ha deciso che bisogna nominare un nuovo popolo”. Brecht ironizzava, Calenda no, dicono fosse serio.

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