D ante Alighieri P.P., Pater patrum, Padre dei Padri, lo stesso appellativo di cui sono onorati i pontefici della chiesa cattolica. Dante padre della lingua italiana e Padre dei padri fondatori dell’Italia, la «terra dove il sì suona», da lui celebrata come nazione cinque secoli prima che diventasse stato. Il sommo poeta è il pezzo più pregiato nel santuario della nostra cultura. Politici disinvolti attingono da quel pantheon scegliendo i nomi più luminosi per arruolarli nella propria fazione. Il cantore del Pd Roberto Benigni tentò di dimostrare che Dante è il seme da cui è germogliata la sinistra: operazione maldestra in stile giullaresco. Ci prova ora il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano: Dante è di destra sostiene improvvidamente dal suo alto pulpito. In un caso e nell’altro sono insorti, con accuse reciproche di appropriazione indebita, i parlamentari delle opposte rive. Dante è profetico, Dante è attuale, il suo pensiero si adatta ai nostri tempi, sostengono rifiutando l’onere della prova. La grandezza di Dante sta invece nella sua inattualità perché ha toccato temi universali, che appartengono agli uomini di ogni tempo. Non si può ridurlo dentro uno steccato, affiliarlo vuol dire oltraggiarlo. Passi per Benigni, ma Sangiuliano no. Lui è ministro della cultura, non del culturame.

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