F orse non ve ne siete accorti: l’8 marzo, nella Giornata internazionale dei diritti delle donne, spicciativamente definita “giorno della festa della donna”, c’è stato uno «sciopero transfemminista dal lavoro produttivo». Non sappiamo che cosa significhi questa locuzione; attendiamo lumi da “NonUnadiMeno”, rete eterogenea di collettivi femministi e queer, che di quella protesta è stata promotrice. In attesa di chiarimenti prendiamo atto che, come ufficialmente dichiarato, è stata una manifestazione contro la guerra e il governo Meloni, che nulla c’entrano con il transfemminismo. Per i non aggiornati ricordiamo che la definizione ufficiale del transfemminismo è quella della studiosa e attivista intersessuale Emi Koyama: «È un movimento fatto da e per le donne trans che vedono la loro liberazione intrinsecamente legata alla liberazione di tutte le donne e “oltre”. É aperto anche ai queer, a persone intersessuali, uomini trans, donne non-trans, uomini non-trans e altri che appoggiano i bisogni delle donne trans e considerano la loro alleanza con le donne trans essenziale per la loro liberazione». Persi nell’elettrizzante ubriacatura dei tanti «trans», apprezziamo l’avverbio “oltre”: un intrigante invito a scoprire le innumerevoli sfumature sessuali dell’arcobaleno. Da cui sono esclusi quei depravati che continuano a definirsi soltanto maschi oppure femmine.

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