G razie a Mattarella siamo salvi. Allarmato per il possibile colpo di Stato paventato dagli spiriti democratici sempre vigili, il Presidente ha bruciato le tappe del rituale. Il rischio che il giuramento di Giorgia Meloni e dei suoi ministri avvenisse il 28 ottobre, cent’anni esatti dalla marcia su Roma, è stato scongiurato. Congiunture astrali e storiche facevano presagire il peggio, come l’aruspice Letta vaticinava: «L’inizio di questa legislatura è il peggiore che potesse esserci: comincia con una logica incendiaria di chi ha vinto le elezioni». C’era di che tremare per le sorti dell’Italia. Saltato l’appuntamento con la data fatidica, la ragazza della Garbatella ha riposto nella cassapanca dei bisnonni la camicetta nera, gli stivaletti scuri e il fez. E si è messa l’anima in pace. È ascesa al Quirinale a bordo di un’utilitaria bianca, ha indossato tailleur e tacchi a spillo. Per rassicurare tutti ha provato a truccarsi alla Boldrini, ma non c’è riuscita. Per fugare ogni ombra sulle sue intenzioni ha assicurato Mattarella che non farà dell’aula «sorda e grigia un bivacco di manipoli» di Fratelli e Sorelle d’Italia. Poi, con sorriso smagliante, è entrata a Palazzo Chigi. Tutto è bene quel che finisce bene, direbbe Shakespeare. Qualcuno obbietterà: sì, ma quella era una commedia. E questa no?

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