S arà difficile dimenticare le immagini che in questi giorni arrivano da Kabul, capitale del martoriato Afghanistan. Come quelle dei corpi volare dal vano carrello degli aerei che portavano lontano dalla furia talebana migliaia di occidentali e afghani. «È stata la sconfitta dell’Occidente», è stato detto. Sarà, a me pare una sconfitta per l’umanità. Su quel Paese non voleranno più gli aquiloni (sono vietati dagli studenti delle scuole coraniche) e le donne non potranno più uscire di casa se non accompagnate da un maschio adulto della famiglia. L’oscurantismo è piombato su questo lembo di mondo e non si contano le dichiarazioni e le spiegazioni – più o meno plausibili – sul perché sia accaduto tutto questo. L’altro giorno è intervenuto l’ex segretario di stato americano Henry Kissinger. «In Afghanistan», ha detto, «ci siamo illusi di costruire una democrazia in tempi certi. Erigere uno Stato democratico moderno in un Paese così diviso può richiedere decenni». A lui, invece, nel settembre del 1973, sono bastate poche settimane per abbatterne una di democrazia, quella del Cile, e consegnare il Paese sudamericano ai militari golpisti di Pinochet, un assassino che ha sulla coscienza migliaia di morti, compresi il presidente democraticamente eletto Salvador Allende e il sommo poeta Pablo Neruda.

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