"Sono partito con la mia bici, una telecamera che pesa come mezza mela e un cellulare. Ho girato un po' di filmati, pensando magari di condividerli con i miei fan al ritorno. Poi, man mano che andavo avanti, mi rendevo conto che stavo entrando in un racconto. Così quando sono tornato è nata l'idea di fare qualcosa di strutturato ed ho pensato subito a Rai Play, di cui sono grande fan. Poi ho consegnato le quasi 60 ore di filmati a Michele Maikid Lugaresi che l'ha montato e diretto, lavorando con me e con Federico Taddia".

Lorenzo Jovanotti ci racconta così "Non voglio cambiare pianeta", il docu-trip da domani, 24 aprile, su RaiPlay in 16 episodi da 15 minuti ciascuno. Sorride. "Questo può essere una specie di tutorial della Fase 2 perché c'è uno che mantiene le distanze ma viaggia". Jovanotti, infatti, ha trascorso gennaio e febbraio in viaggio, in solitaria in bicicletta, da Santiago del Cile a Buenos Aires. "Il titolo? L'ho preso in prestito da un verso del poeta Pablo Neruda". D'altronde, c'è tanta poesia in questo documentario. Da Primo Levi a Jorge Luis Borges, da Jorge Carrera Andrade ad Antonio Machado per chiudere con Luis Sepúlveda.

"La poesia è la mia grande amica di questi giorni di lockdown, e ogni puntata abbiamo deciso di chiuderla con una poesia letta al cellulare, ognuna scelta in modo istintivo, seguendo la logica del viaggio disorganizzato", spiega il divo. Una costante, invece, la musica. La musica ascoltata e canticchiata pedalando 10-12 ore al giorno si è tradotta al ritorno - chitarra alla mano - in una colonna sonora originale registrata in studio, con testi inediti e grandi classici reinterpretati con un tocco di Sudamerica. "Mi sono preso la libertà di dare musica alle immagini", racconta Lorenzo. "Senza regole, senza troppi pensieri. Lasciando spazio agli errori, alle imperfezioni, all'energia del momento. La musica e la bicicletta sono così simili: più ci sei dentro e più ti vedi da fuori, più ti concentri e più la testa prende direzioni inattese".
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