Tutti dovrebbero avere un amico come Antonello Menne. Ma se non si ha questa fortuna, a venirci in soccorso - come ben sanno i divoratori di storie - può essere la parola scritta che a volte ci conforta, altre ci strapazza, ci porge soluzioni, ci insinua giusti dubbi o persino ci contraddice, insomma, ci accompagna nella vita come sa fare un buon amico. Nelle nostre librerie ci sono compagni di giochi della prima età, complici dell'adolescenza, maestri eterni. Le loro opere ci hanno tracciato una strada, libri scritti con onestà e senza tracotanza. L'autore come veicolo di un'esperienza (spesso personale), e non io bulimico che si bea di se stesso. Così al termime della lettura di "Da Roma a Gerusalemme. Diario di un Cammino" (Primiceri Editore) nel riporre nello scaffale il volume scritto da Antonello Menne avremo la consapevolezza di aver incontrato non un solo amico ma una bella congrega di persone.

I compagni di avventura

E sì, perché questo quaderno di pellegrinaggio, scritto con il tocco del romanziere, è una narrazione a più voci dove il Virgilio è il giovane studente nuorese diventato negli anni a Milano affermato avvocato civilista ma, come in tutte le commedie (divine o meno) i protagonisti sono i compagni di viaggio, i viandanti sfiorati, gli ospiti delle infinite tappe lungo il tragitto tra le due città eterne. A partire da un gruppetto di ladri. Già, brutte bestie che a poche ore dalla partenza (agosto 2019) fanno un raid a casa Menne, la mettono a soqquadro lasciando quel senso profondo di violazione che ogni furto porta con sé al di là dei danni materiali. E questi fessi però non toccano l'oggetto che in quel momento ha più valore: lo zaino di viaggio, altro comprimario di questa storia. Si va da Milano a Roma dove si incrocia il destino con due colleghi d'università, Raffaele e Antonio, quelli con cui si programmava di cambiare il mondo e ora si condivide l'avventura, perché avventura sarà, in età matura. E sarà molto altro, soprattutto quando ad Antonello, il 16 agosto a Tel Aviv, si aggiungeranno Luca e Chiara, i figli. Qui l'invidia è tanta. Chi non vorrebbe con sé i propri ragazzi, le proprie ragazze nell'avviarsi a piedi verso Gerusalemme? Il viaggio si fa più intimo e familiare. Immaginate fra 50 anni Chiara o Luca raccontare ai loro nipoti che a bocca aperta sentiranno: Quella volta alle porte di Nazaret pensavamo di aver perso Chiara...

I paesaggi

I protagonisti di questa storia sono i luoghi visti con lo sguardo del camminatore. Non del celere automobilista. Ma dell'uomo o della donna che passo dopo passo si guardano intorno anche se stremati dal caldo, provati da alcuni incidenti di viaggio, dalle vesciche, da temporali furiosi e improvvisi. Prima il Lazio, la Campania e la Puglia attraverso l'Appia e la via Traiana. E poi l'imbarco a Otranto e via con Tel Aviv, Akko, Nazaret, il Monte Tabor, il lago di Tiberiade, la Cisgiordania e il suo deserto, Gerico e Gerusalemme. Terre di pace e territori in guerra. La certezza dell'insicurezza fa parte del gioco, scrive Menne.

La storia

Ognuno dei luoghi citati, toccati, è terreno di storia, quella grande e condivisa che fa il paio con quella personale. I campi dell'Italia meridionale dove bisogna camminare con cautela perché ci sono ancora bombe inesplose, pazzesco. Akko che fu conosciuta come San Giovanni d'Acri, porto di massacri tra i crociati e musulmani di Saladino. Tiberiade, il lago di Gesù e dei suoi gesti miracolosi. Tutto trasuda epicità, leggenda, e i fatti del passato portano alla riflessione sul presente e alla proiezione del futuro. Soprattutto quando si passano i checkpoint, filospinato che segna lacerazioni in corso, guerre presenti, popoli in lotta, supprusi subiti e ora riversati in una spirale mortale e senza fine. Israele che deve pensare a se stessa come casa e non come fortezza.

Spiritualità

Come sanno i camminatori, gli erranti, il procedere porta alla rinascita in generale. Figurarsi questo procedere che (dài facciamoci una risata) non è il tragitto da Londra a Ibiza sui luoghi della club culture, che comunque avrebbe un suo perché. Siamo in un tracciato fra due punti cardinali della cristianità. Lo sguardo di Antonello Menne è laico e, proprio perciò, fa breccia oltre i lettori già instradati su questi temi e abituati a queste riflessioni. Soprattutto quando tocca le sponde marcate da Gesù che predica su un barchino ondulante. Là dove, a Gerusalemme, ci porge un'analisi chiave proprio in questi tempi: «A Gerusalemme tutto è in mano degli uomini. Le donne sono assenti, sono escluse, lasciate deliberatamente fuori dalla gestione, conservazione e tutela della memoria», scrive. «Parlo delle comunità cristiane, di tutte. Eppure le donnne sono quelle che non hanno mai abbandonato Gesù. Sono loro che l'hanno seguito dalla Galilea alla Giudea, che sono rimaste fedeli alla sua Parola. Sono loro che l'hanno accolto a Betania quando ebbero inizio i giorni della Passione, loro che hanno sfidato i soldati romani sotto la Croce». Fine di questo articolo, inizio della vostra lettura.

Francesco Abate

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