Il tema delicatissimo della sanità è un crocevia di visioni e impostazioni ideologiche, di leggi nazionali e locali, decisioni improbabili, pratiche, procedure e tecnologie, il tutto intessuto di storie umane che danno pathos, spessore e sangue. L'argomento ha, infatti, la caratteristica precipua di diventare esistenziale quando lo stadio della medicina riguarda noi o i nostri cari.

Al centro di tutto dovrebbe essere posta la persona: la sua salute (garantita persino dalla Costituzione) dovrebbe essere prioritaria rispetto ai bilanci. Bisognerebbe improntare le strategie e delimitare un terreno nobile, una zona trasparente di non belligeranza come fosse una nave ospedale garantita dalla convenzione di Ginevra.

In realtà - anche le ultime vicende lo dimostrano - la sanità è una delle migliori arene dove dispiegare lotte cruente di potere, scontri feroci e colpi bassi. Trattiamo non di un terreno consacrato, dunque, ma di una ferita che il cittadino sente sempre aperta perché infettata da batteri politici, e di un nervo continuamente scoperto giacché la sensazione peggiore per un paziente è la mancanza di trasparenza, la perdita di riferimenti certi. La sanità in Sardegna si caratterizza, infatti, per un velo non pietoso che sembra posto sopra ogni aspetto di questa disciplina elevata e vitale. È proprio la mancanza di trasparenza che in fondo certifica il fallimento della sanità sarda e ne rappresenta il sintomo più deleterio e pericoloso, una sistematica crepa nella fiducia verso le istituzioni.

Tutto è nebbia per il cittadino, tutto è dubbio. Chi conosce gli obiettivi della sanità? Chi può dire oggi se la decisione presa di rinunciare alla ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale (mi pare che solo la Sardegna l'abbia fatto) sia stata un atto positivo per noi sardi o un'autocastrazione? Chi può mostrare analisi segmentate dei guasti alla nostra salute derivanti dall'inquinamento portato dall'industrializzazione selvaggia e dall'utilizzo del nostro territorio a scopo militare? O discutere le varie strutture sanitarie succedutesi negli anni, in mancanza di dati certi di costi/benefici? Oppure comprendere, anche attraverso l'ausilio di un controllo di gestione moderno, il bilancio della stessa sanità (è vero che ognuno degli ultimi due esercizi ha comportato una perdita di circa trecento milioni? La falla non era stata tamponata?) e interrogarsi sulla sua composizione e sui possibili miglioramenti? Quanto è efficace la sovrapposizione di ruoli medico-manager? Quanto pesa sui costi e sul cittadino la micro-disorganizzazione? Meno o più di quanto derivante dalla macro impostazione geografico-strutturale?

Le domande non trovano, purtroppo, che risposte filtrate da interessi di parte. Arriviamo al quesito più dolente: la riforma portata avanti negli ultimi cinque anni dalla giunta uscente è funzionale a un miglioramento strategico della sanità sarda oppure è nell'applicazione pratica velleitaria, cagliaricentrica, ingiusta e persino anticostituzionale? Perché, ricordiamolo, per cinque anni e non mesi, i pochi, come me, che hanno avanzato domande e critiche sono stati trattati come nemici della patria sarda: esisteva un solo credo, una sola dottrina e ovviamente una sola soluzione.

La riforma sanitaria è stata la bandiera di un'intera giunta (non solo dell'assessore Arru, sia chiaro) e mai è stata sottoposta a pubbliche critiche o discussioni dalla maggioranza, da chi ne aveva prerogative, autorità e autorevolezza. Poi però le parole d'ordine cambiano, come nei regimi: si passa dagli elicotteri-salva-sistema, che decollano dal basso quando c'è luce, ai dirigibili calati dall'alto e rappresentati da case della salute pronte a erogare migliori servizi.

E il cittadino? Doveva aspettare sino a oggi per essere informato di un crudele errore? Oppure - come pensano i più - si trova solo di fronte all'ennesimo scontro di potere sulla pelle dei malcapitati? Lo sconcerto è totale.

Ciriaco Offeddu

Manager e scrittore
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