Nelle ultime settimane, le peggiori per la Sardegna dall’inizio della crisi sanitaria, una certa parte della politica regionale sarda, questa volta quella facente capo al Partito Democratico per intenderci, non è riuscita, a mio modestissimo avviso, a fare bella mostra di sé nel suo prestare quasi “incondizionatamente” ed ingiustificatamente il fianco alle polemiche infuocate provenienti dai vari detrattori dell’Isola, descritta ingiustamente come luogo di infezione e di contagio estivo pur essendo notoriamente uno dei territori meno colpiti e coinvolti dalla pandemia da coronavirus.

Tra schermaglie e mozioni tanto inutili, quanto dannose, si è consumato per l’ennesima volta l’inglorioso e deprecabile gioco del “Can Can” dei rimpalli di responsabilità, della ricerca esasperata e snervante di un capro espiatorio su cui riversare tutti i veleni della situazione contingente. Un atteggiamento all’apparenza a dir poco malestruo consumato proprio quando le criticità interne rivelavano, e rivelano ancora oggi, tutta la debolezza del nostro apparato sanitario, e proprio quando sarebbe stato opportuno, e lo sarebbe ancora, conservare intendimenti ispirati alla massima cooperazione per reagire con un minimo di efficacia ad una situazione che rischia seriamente di farci precipitare nel baratro.

Malgrado tutto, tuttavia, e come era facile prevedere, la mozione di sfiducia presentata in danno di Christian Solinas per la gestione dell’emergenza sanitaria, con particolare riferimento all’ordinanza di apertura delle discoteche in data 11 agosto, è stata bocciata: a prevalere, dunque, sembra essere stato l’insegnamento aureo contenuto nel vecchio adagio latino “simul stabunt vel simul cadent”. E, laddove così davvero fosse, il cosiddetto “cadere”, in questo momento specifico in cui le “poltrone” continuano a conservare intatte ad ogni livello le loro “quotazioni di borsa”, non avrebbe certamente giovato a nessuno, men che meno a coloro che ad alta voce lo invocavano. “Ergo”, siccome “intelligenti pauca sufficiunt” (all'intelligenza bastano poche cose per capire), a noi cittadini, affranti ed impotenti sotto tutti i punti di vista, non resta, per quanto possibile, che tirare le somme inesatte di “operazioni” apparentemente decise “altrove” e da “altri” non meglio individuati.

Mentre la popolazione è intenta a patire le gravissime carenze dell’organizzazione sanitaria regionale, ad aver avuto la meglio, insomma, sembra essere stato come al solito il teatrino dell’insipienza, dell’incompetenza e dell’inconcludenza: come al solito, quindi, per dirla altrimenti, allorquando il problema si presenti troppo laborioso e complicato da risolvere, o peggio paia non avere soluzione, la strategia eletta, siccome ritenuta, a torto o ragione non è dato sapere, come la più opportuna, sembra sempre essere quella di creare le condizioni di un “disordine” politico-ideologico che nello sviare l’attenzione generale dal nocciolo vero del problema, si impegni invece a ricondurre miracolosamente al centro di quella stessa attenzione generale già gravemente provata, lo scontro tra coalizioni contrapposte il quale, lungi dall’apparire come reale e finalisticamente orientato al perseguimento dell’obiettivo programmato ed annunciato, all’esito continua a manifestarsi come sempre destinato a rimanere fine a se stesso sul piano delle conseguenze governative.

Questa è certamente solo una impressione riflessa dalla gestione delle circostanze, e sinceramente la speranza, almeno quella, di aver ritratto una riflessione erronea non mi abbandona. Tuttavia è innegabile che una verità sia sotto gli occhi di tutti, e che sia talmente evidente da non poter essere più ignorata: il sistema sanitario sardo, a distanza di anni ed anni da quella sciagurata Riforma del Titolo V, non riesce a decollare, non funziona per la carenza di una regia politica seria e concludente, e si ritrova a pagare, oggi più di ieri, non solo lo scotto di una lunghissima ed alternata gestione incauta dei servizi territoriali a disposizione delle singole comunità, ma anche lo scotto violento della carenza delle strumentazioni utili e del personale. Neppure col solito gioco stantio dell’alternanza tra Destra e Sinistra al Governo della Regione alcun che è riuscito a cambiare, salvo che in senso deteriore, per il nostro Comparto Sanitario. I nostri “politici”, certuni più di altri, oramai devono rassegnarsi all’idea che il momento della spettacolarizzazione elettorale e della demagogia spicciola è finito, e che è arrivato il momento, e solo quello, dell’azione concreta: chi sa fare faccia, e lo faccia subito, chi non sa fare abbia la decenza di fare un passo indietro e di mettersi al servizio del prossimo. Nel procedere imperterriti con la demagogia si è finora contribuito colpevolmente solo a nascondere la “polvere” sotto il “tappeto”, e di questo si deve prendere atto se si vuole iniziare a guardare davvero in faccia la realtà. E giammai si pensi, in adesione alla solite dinamiche dello scaricabarile, di poter affrontare la crisi sanitaria sarda invocando, come Taluno (forse comprensibilmente preso dall’esigenza di offrire uno sbocco a questo impasse) ha voluto recentemente fare, la nomina di un Commissario straordinario: non di altre inutili poltrone e conseguenti “nomine” e/o “portafogli” abbiamo bisogno ma, nella situazione in cui ci troviamo, solo di “politici del fare” miratamente scelti tra gli esponenti più validi del Consiglio Regionale, qualunque sia il loro colore politico di appartenenza.

E’ poi chiaro che, trascorso questo periodo critico, molte cose si dovranno necessariamente rivedere. La lezione offertaci dal Covid-19 è impietosa, e riporta infatti a galla contenuti chiari ed inequivocabili: intanto, il fallimento del federalismo declinato sul piano sanitario; quindi, la conseguente necessità che quello stesso Servizio Sanitario torni ad essere interamente pubblico e nazionale; infine, la necessità ulteriore ma primaria di garantire a tutti i cittadini il godimento di un equo e paritario diritto alla salute. Il federalismo applicato alla sanità territoriale ha, nel corso dei lunghi anni trascorsi, contribuito unicamente ad inasprire le differenze territoriali favorendo, per giunta, il rafforzamento indiscriminato della sanità privata in danno ed a tutto discapito di quella pubblica. L’accorciamento delle distanze tra cittadini-elettori e propri amministratori, che negli intenti del legislatore intendeva conseguire la responsabilizzazione di questi ultimi nella gestione di una sanità maggiormente funzionale, non ha raggiunto il suo scopo. Il che appare più che comprensibile laddove solo si consideri che, in linea generale, il principio della devoluzione dei poteri si è andato affermando in Italia non tanto come specifico atteggiamento politico derivante da una maturata e consapevole creatività progettualistica di perfezionamento istituzionale compiuta dalla intera classe politica, quanto piuttosto come risposta istintiva ed improvvisa, ed in qualche misura pure inconsapevole, al successo ottenuto dalla Lega negli anni 90. Per questo, proseguire ostinatamente sulla via dell’autonomia regionale anche solo in campo sanitario sarebbe un gravissimo errore.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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