Circa 17 milioni di italiani (quasi il 70% dei 25 milioni andati alle urne) hanno votato Sì al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari.

Entro 60 giorni, dunque, i collegi elettorali verranno rivisti, in attesa della nuova legge elettorale, a base proporzionale, a completamento della stessa riforma, annunciata dalle forze di maggioranza.

Per il momento, dunque, non cambia nulla: i parlamentari restano quelli che sono, mentre dalle prossime elezioni politiche gli elettori eleggeranno 400 deputati anziché 600 e 200 senatori invece che 315.

Se gli effetti della vittoria del Sì si vedranno solo nel lungo periodo (e saranno subordinati alla stesura delle nuove regole per eleggere i rappresentanti del popolo e anche a uno stravolgimento del lavoro parlamentare, a cominciare dalla modifica della composizione delle commissioni, che sono il motore del lavoro e della preparazione delle leggi), il risultato del referendum va comunque a incidere subito su altri aspetti della vita politica e istituzionale del Paese.

I CINQUE STELLE - Per alcuni partiti, infatti, la vittoria del Sì ha potuto fare da cuscinetto in grado di ammortizzare il risultato delle altre consultazioni tenutesi nel weekend, quelle regionalil.

E' il caso, ad esempio, del Movimento 5 Stelle. Appena la bilancia dello spoglio referendario ha inizio a pendere inequivocabilmente per il taglio, Luigi Di Maio, che non è più ufficialmente il capo pentastellato, ma che di fatto tale è considerato, si è presentato in conferenza stampa, annunciando in pompa magna: "Quello raggiunto oggi è un risultato storico. Torniamo ad avere un Parlamento normale, con 345 poltrone e privilegi in meno. E' la politica che dà un segnale ai cittadini. Senza il Movimento 5 Stelle tutto questo non sarebbe mai successo".

E via così, con altri post esultanti sui suoi seguitissimi canali social. Peccato che, da commentare, ci fosse - c'è - anche dell'altro: l'ennesima emorragia di voti del M5S, che in pochi anni, si vedano i precedenti delle Europee e delle altre regionali, ha perso milioni e milioni di voti.

Ma nelle dichiarazioni dei big spazio per mea culpa non ce n'è, se non un "abbiamo sbagliato" troppo generico e auto-assolutivo, specie se molti militanti e big duri e puri (da Stefano Buffagni ad Alessandro Di Battista) chiedono - e non domani, ma da ieri - un confronto sulla linea per evitare che di questo passo il Movimento si polverizzi.

Sì, perché il comodo cuscinetto del Sì al referendum non allontana - affatto - nubi nere e rese dei conti all'orizzonte.

LA LEGA - Il Sì rappresenta una vittoria con l'asterisco anche per la Lega. O, meglio, per Matteo Salvini. Il Carroccio è stato forse l'unico partito a non cambiare mai idea sulla necessità di tagliare i deputati, dunque può essere anch'esso una delle forze che di diritto può intestarsi il successo. Ma, come detto, si votava anche per le regionali: Salvini voleva strappare Puglia e Toscana al centrosinistra e non ci è riuscito. Sperava di contenere il successo di Luca Zaia, che invece ha trionfato, con percentuali quasi bulgare, lanciando messaggi sinistri al Capitano, che fino ad oggi non aveva avversari conclamati per la leadership del partito.

Per questo, anche per lui, il referendum può rappresentare lo zucchero per addolcire, almeno per il momento, una pillola che viceversa sarebbe stata più amara del previsto.

IL PD - Per quanto riguarda il Partito Democratico targato Zingaretti, la vittoria del Sì assume, al contrario, un significato di ciliegina sulla torta: Toscana e Puglia sono rimaste rosse, De Luca ha stravinto in Campania e aver cambiato idea passando dal "No al taglio" durante il Conte I al "Sì al taglio" dopo la nascita del Conte II, non è passata, agli occhi degli elettori, come una mera inversione a U per non creare grattacapi all'attuale Governo. Anche in questo caso le conseguenze vere si vedranno non nell'immediato: il Pd dovrà infatti trovare la forza di imporsi, forte dei numeri, sull'orgoglioso e scomodo alleato a 5 stelle e di portare a casa le altre riforme necessarie a integrare e garantire degnamente il lavoro del Parlamento più snello che ci attende.

Viceversa, il taglio dei parlamentari rischierebbe di restare un pastrocchio buttato lì solo e soltanto per ammiccare alle istanze del populismo.

CONTE - Può dirsi contento e soddisfatto senza se e senza ma, invece, Giuseppe Conte. Lo aveva detto prima del voto: "Comunque vada il Governo andrà avanti", lo può gridare a maggior ragione ora che il Sì ha vinto e il centrodestra non ha sfondato. Caso mai avrà il problema di dover gestire il rapporto tra in maggioranza tra M5S e Pd, con i dem ringalluzziti dall'esito delle urne che necessariamente vorranno imporre la loro spinta propulsiva all'interno dell'esecutivo.

RENZI - In tutto, questo, invece, Matteo Renzi? Quando lui ha puntato tutto sul Sì, tutti hanno votato No. Ora che tutti erano per il Sì, lui ha lasciato libertà di scelta ai suoi, sperando in cuor suo che il Sì non vincesse. Ma il Sì ha vinto. All'apparenza uno smacco. Uno smacco che, del resto siamo in Italia, nel lungo periodo potrebbe però ancora pagare, soprattutto se il Governo, per fare le riforme di cui sopra, dovesse aver bisogno - e probabilmente ne avrà bisogno - della pattuglia parlamentare di Italia Viva. Un modo per continuare a contare o, mal che vada, per far fallire la festa, in stile Jep Gambardella.

GLI ALTRI - Infine, i fautori del No incondizionato, da Carlo Calenda ai dissidenti del Pd, passando per Romano Prodi, l'Anpi e Liliana Segre. Hanno tutti accettato con fair play la decisione del popolo. Un modo per confermare che la loro campagna è stata molto più slegata dalle dinamiche propagandistiche, rispetto a quella degli altri partiti e movimenti, più preoccupata per le conseguenze effettive del taglio sulla vita democratica italiana che non su quelle prettamente politiche e strategiche.

Per questo, è facile immaginare, con lo stesso fair play sperano che gli italiani non debbano mai accorgersi dei rischi e dei contraccolpi che il taglio lineare di poltrone può generare.

L'unico modo per evitarlo è, come detto, approntare riforme in grado di dare nuova linfa ai meccanismi di rappresentanza e democrazia.

Altrimenti chi ha perso oggi sarà Cassandra e chi ha vinto, o dice di aver vinto, finirà inevitabilmente per fare la figura dell'inutile Narciso.
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