Salvo variazioni di programma e/o inaspettati “incidenti” di percorso, nella giornata del prossimo 2 giugno il centro destra, di nuovo (apparentemente) “unito”, scenderà in Piazza. Questa volta, pare, senza bandiere di partito ma col solo Tricolore come richiesto dal vicepresidente azzurro Antonio Tajani, per essere “a fianco dell’Italia che vuole ripartire”. Il centro sinistra, nella sua inedita formazione di maggioranza di governo, si presenta, invece, manifestamente, e per certi versi sfacciatamente, composito, eterogeneo e fortemente eclettico, e per il momento preferisce, al contrario, restare arroccato in Parlamento ad attendere lo sviluppo degli eventi. Si potrebbe obiettare: cosa c’è di strano? E si potrebbe rispondere: nulla, o forse tutto. Dipende. Dipende da come si decida di interpretare il diverso atteggiamento delle due grandi coalizioni politiche, oppure, dipende dal senso che si voglia attribuire all’esistenza stessa delle coalizioni medesime necessitate, evidentemente, solo dal meccanismo di funzionamento dell’attuale legge elettorale, oppure dipende, ancora, da come questo oramai stancante gioco politico tra parti contrapposte, dentro e fuori le due grandi formazioni, sia vissuto dagli italiani. Ebbene. Premesso che la decisione del centro destra di scendere in Piazza a dimostrare una unità che fa acqua da tutte le parti, come pure una vicinanza morale al Popolo Italiano che, seppure in qualche modo confortante, non potrà andare oltre il mero significato simbolico, appare totalmente inutile per non essere idonea a garantire, a livello pratico, una serena “ripartenza” dopo la battuta d’arresto provocata dall’emergenza pandemica. Premesso, altresì, che le “grandi manovre economiche” di questo insolito, quanto nuovissimo, centrosinistra, divenuto Esecutivo solo grazie al cinismo politico del turbolento giocoliere di Palazzo Matteo Renzi, sembrano non accontentare nessuno per non riuscire ad interpretare i reali bisogni di una popolazione (in senso lato comprensiva di imprese e categorie professionali di vario genere) già fortemente provata dagli esiti di una crisi economica esistente e persistente anche nel periodo ante Covid -19, e che lungi dall’aver bisogno di accedere al credito bancario, peraltro con procedure estremamente laboriose e farneticanti, avrebbe, come di fatto ha, invece, disperatamente bisogno di pronta, generosa, e gratuita liquidità. E premesso, infine, che se il nostro Premier Giuseppe Conte, a cui peraltro riconosco, come ho sempre riconosciuto nel corso di questa nuova esperienza di governo, una notevole capacità diplomatica ed una stupefacente fermezza di carattere nell’interpretare un ruolo per Lui inedito, ma che evidentemente gli calza a pennello, ha pensato bene, ma forse non troppo, di chiedere “un atto d’amore” alle Banche senza comprendere che i cittadini italiani il vero ed unico “atto d’amore” lo stanno ancora aspettando niente poco di meno che dallo Stato. Allora, tanto premesso, appare ovvio, perlomeno dal mio personale punto di vista, che ci sia qualcosa che non funziona come dovrebbe, tanto sul piano comunicativo tra governanti (maggioranza e opposizione si intenda) e governati da un lato, e coalizioni e singoli partiti - parte dall’altro, quanto sul piano strettamente politico. Intanto, perché da troppo tempo oramai, complice, per un verso, l’indebolimento crescente dell’identificazione partitica, e complice, dall’altra, la conseguente perdita del carattere identitario dei singoli schieramenti politici, divenuti incapaci di preservare financo la propria ideologia fondante, ci ritroviamo costretti, nostro malgrado, ad assistere al teatrino mediatico dell’inettitudine e dell’approssimazione sfociante, sistematicamente, nella poco credibile formazione di intese tra veri e propri schieramenti partitici contrapposti aventi l’assurda pretesa di promuovere, ciascuno, all’interno della propria insolita formanda alleanza, i propri obiettivi programmatici, il più delle volte dissonanti rispetto a quelli dei pretesi inediti nemici/alleati. Quindi, perché, siffatta condizione, oltre ad aver creato un corto circuito insanabile sul piano strettissimo della dialettica istituzionale, ha rappresentato, nel volgere degli anni, la causa e l’effetto del prepotente processo di delegittimazione partitica che ha condotto, giorno dopo giorno, alla insanabile frantumazione del rapporto fiduciario tra i cittadini da una parte, ed i rispettivi esponenti di governo dall’altra, divenuti, all’evidenza, sempre più inefficienti nel ricercare il perseguimento degli obiettivi istituzionali come originariamente prefissati, siccome intrappolati nella ricerca di sterili, quanto improbabili, tentativi di sintesi tra le differenti e contrapposte anime che si agitano sia negli stretti limiti delle stesse singole formazioni politiche, sia nel più variegato ambito delle “coalizioni” non solo di cosiddetta “rappresentanza” tradizionale, quali appunto il centrodestra ed il centrosinistra, ma anche di cosiddetta “opportunità parlamentare”, quali ad esempio il governo dei giallo verdi prima e quello dei giallo rossi poi. Infine, perché l’affermazione incontrollata e crescente di siffatte dinamiche patologiche, ha paradossalmente indotto un pericoloso e svilente processo di trasformazione nell’interpretazione corretta da attribuire al confronto elettorale, il quale, a ben considerare, è divenuto esso stesso la sola vera e propria finalità politica da perseguire in totale dispregio di quella che era, o avrebbe dovuto più correttamente essere, la sua reale funzione, ossia quella del puro e semplice “strumento” finalizzato al perseguimento preciso ed indiscutibile di un progetto programmatico di governo. Ma, se così è, come si può, superare, questa “impasse”? A cosa servono oggi, se davvero servono, le coalizioni? Quale ruolo attivo e fattivo possono mai rivestire, oggi come oggi, sul piano politico interno?

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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