Gli amanti del genere ricorderanno senz'altro una delle scene finali del film "Le Iene". Eddie punta la pistola contro mr White, che la punta contro Joe che a sua volta mette nel mirino mr Orange. È lo stallo alla messicana: tutti si tengono sotto tiro a vicenda, in modo che nessuno possa colpire senza essere a propria volta colpito.

Una situazione che esemplifica alla perfezione quella in cui si trova l'attuale governo. Con una differenza: nella pellicola di Quentin Tarantino, dopo attimi di alta tensione, i protagonisti sparano e lo stallo si risolve. Nel governo Conte tutti sembrano avere la pistola scarica.

Scarica è l'arma di Matteo Renzi, cui i sondaggi sconsigliano di andare al voto per il momento. Ed è ciò su cui fanno affidamento Pd e M5S, che hanno approvato in Cdm (senza gli esponenti di Italia Viva che hanno disertato) la riforma del processo con il lodo Conte bis, proprio nella convinzione che Renzi non abbia il coraggio di andare fino in fondo e rompere, e che se anche lo facesse non è detto che i suoi parlamentari lo seguano, data l'incertezza di un'eventuale rielezione.

Scarica è la pistola dei 5 Stelle per gli stessi motivi. Il passaggio dalla leadership debole di Di Maio a quella, sinora insignificante, di Vito Crimi non ha certo rivitalizzato il partito, che in caso di ritorno alle urne vedrebbe dimezzata (o peggio) la sua pattuglia di onorevoli.

Conte invece, tornando al film di Tarantino, è mr Orange. Lui l'arma non ce l'ha, è a terra sanguinante e fa di tutto per sopravvivere. Colpito subito dopo la rapina, mr Orange nel film riesce a sopravvivere a lungo. Denota una certa resistenza, come quella mostrata dal nostro presidente del Consiglio, passato senza battere ciglio da Salvini e Giorgetti a Speranza e Zingaretti, mantenendo la residenza a Palazzo Chigi. Ora si dice che cerchi “responsabili” tra ex M5S e Forza Italia che possano consentirgli di sopravvivere anche senza l'ingombrante Renzi.

Chi potrebbe permettersi di premere il grilletto è Nicola Zingaretti. Che in fondo, se si andasse al voto, passerebbe all'opposizione ma avrebbe molto meno da perdere rispetto agli altri. I sondaggi danno il partito in crescita, e con percentuali migliori rispetto a quanto ottenuto a marzo 2018. Potrebbe inoltre candidare parlamentari più fedeli alla sua linea e consolidare il Pd come principale argine al centrodestra di Salvini e Meloni. Eppure Zingaretti cincischia, balbetta, avverte ("Se cade Conte non ci sono altre maggioranze, si va a elezioni"), rilancia non meglio precisati piani e cronoprogrammi che allo stato attuale sembrano difficili da realizzare. Non è "pulp" come Tarantino, insomma.

Conte che non si fida di Renzi e vorrebbe fare a meno di lui, Renzi che vorrebbe un premier diverso e sulla giustizia (ma anche su Autostrade) ormai vota con l'opposizione, in uno scontro che sembra la riedizione di quello tra Conte e Salvini nel governo gialloverde. Un Movimento indebolito che prova a tenere il punto sui suoi cavalli di battaglia, un Pd statico. Ultimatum che sono sempre penultimatum, perché ci si ferma sempre un passo prima di quella crisi che non vuole nessuno.

Sulla prescrizione "tanto tuonò che alla fine non piovve", ha commentato il leghista Calderoli, che in uno strappo ci spera davvero, per tornare al voto. È lo stallo alla messicana che, tradotto in politica, è paralisi di governo. Dalla finanziaria di dicembre non si approva un provvedimento degno di nota. Tutto viene rinviato. Dalla modifica dei decreti sicurezza al nodo Autostrade, dall'Ilva alla prescrizione – battaglia campale degli ultimi giorni – su cui alla fine si è deciso di rinviare, con un disegno di legge sulla riforma del processo che contiene il contestato lodo Conte bis. Un ddl i cui lunghi tempi di approvazione allentano il conflitto, e nel frattempo resta (non un gran risultato per Renzi) la legge Bonafede, quel "fine processo mai" contro cui Italia Viva sta conducendo la sua crociata.

Manca iniziativa politica, mentre sulla crisi libica non si tocca palla, i dati economici si fanno sempre più allarmanti (Italia fanalino di coda in Europa) e le crisi aziendali mettono in ginocchio intere aree del Paese. L'unico momento in cui abbiamo visto una maggioranza unita nelle ultime settimane è stato in occasione del voto sulla Gregoretti, e non è un caso visto che in funzione anti-Salvini è nato questo governo, visto che il leader della Lega sembra essere l'unico collante dei giallorossi. Oltre alle nomine di Stato, collante di ogni maggioranza: più di 400 quelle a cui deve provvedere l'esecutivo tra marzo e aprile, mesi in cui saranno rinnovati i vertici delle Authority e dei cda di molti colossi pubblici.

Difficile si cada prima di allora. Dunque tutti tirano la corda, sapendo che non si spezza. Almeno per ora, perché se si vuole resistere fino alla nomina del prossimo presidente della Repubblica (nel 2022) e chiudere la legislatura ci vuole uno scatto. Altro che stallo alla messicana.
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