Salvini non cede e pone un'asticella sul caso Siri.

In un colloquio con il Corriere della Sera il leader leghista afferma: "Che ci sia almeno un rinvio a giudizio. Non dico una condanna in terzo grado, ma almeno che venga mandato a processo. Perché in caso contrario la democrazia corre dei rischi".

Tuttavia chiarisce, non sarà questa la miccia che innescherà l'esplosivo e farà cadere il governo: "Nel consiglio dei ministri di mercoledì non succederà nulla, anzi, conto di portare alla seduta un testo unico sull'immigrazione".

E il punto - afferma rispondendo a Di Maio - "non è mai stato quello di una poltrona, ma una cosa per me evidente: condannare, dimissionare, linciare una persona sulla base di chiacchierate telefoniche di altre persone è pericoloso. Scardina la democrazia e i principi costituzionali di garanzia".

E ancora: "Se parlassero al telefono di Di Maio, Toninelli o Di Battista? Che facciamo? Buttiamo via tutto il governo?".

In realtà non è tanto il chiacchiericcio telefonico ad aver indispettito i 5 Stelle, che in piena campagna per le europee non possono permettersi - in base ai tanto declamati principi di trasparenza e onestà - un sottosegretario indagato per corruzione, ma gli atti di Armando Siri. Il quale, stando a quanto affermato dai pentastellati, avrebbe provato più volte ad inserire una sanatoria per favorire l'impresa di Arata, bloccata proprio dai 5S.

Salvini prova a spostare l'attenzione rilanciando su castrazione chimica e grembiule, e in parte ci riesce anche. Ma non riuscirà certo a spostare la data di mercoledì 8 maggio.

Il giorno dello showdown in Consiglio dei ministri. Se Salvini non si piega, se Siri non anticipa tutti rassegnando le dimissioni, si va alla conta. I numeri dicono 5 Stelle, ma la sensazione è che una conta in Cdm sul caso Siri sarebbe il preludio alla crisi di governo.

(Unioneonline/L)
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