Se negli ultimi mesi abbiamo dovuto sopportare, nostro malgrado, le incessanti scaramucce dei due vicepremier le quali parevano rientrare nella fisiologica dinamica patologica dell’andamento del governo giallo-verde, in costante apparente disaccordo su tutto ma pur sempre col paracadute pronto ad aprirsi nelle situazioni di reciproco bisogno, oggi, come riportano i quotidiani nazionali e locali, il livello delle accuse tra i due è tale, e a tal punto sintomatico, da far temere il sopraggiungere dell’epilogo dell’atto finale di questa situation comedy di basso spessore ambientata a Palazzo Chigi.

Questa volta, a scatenare la guerra sarebbero state, come di fatto sono state, le due vicende parallele concernenti l’indagine sul caso Siri e gli esiti delle scottanti e sconvolgenti intercettazioni direttamente coinvolgenti Virginia Raggi. Vicende che se, per un verso, hanno indotto Di Maio a pretendere le dimissioni immediate del sottosegretario leghista, per l’altro verso, hanno spinto Salvini a pretendere la destituzione della “Sindaca”: il tutto ben condito con la reciproca minaccia di provocare la caduta del governo in caso di mancato ottemperamento ai rispettivi dictat.

E ci sarebbe veramente da ridere se non ci fosse invece da piangere. Più che trovarci di fronte ad un governo sembra di assistere ad uno spettacolo di illusionismo spicciolo perché, riconosciamoglielo, nei loro ruoli così indeterminati ed approssimativi, tristemente leggeri e superficiali, Di Maio e Salvini sono, e purtroppo per loro, talmente bravi che davvero non si capisce “se ci sono o se ci fanno”. Detto altrimenti. Allorquando all’interno di una maggioranza di governo ci si scanna per l’ovvietà vuol dire che siamo proprio arrivati alla frutta e che la razionalità è andata a farsi benedire a tutto vantaggio del relativismo: è fin troppo chiaro per tutti che in una situazione quale quella accennata poco sopra tanto Salvini quanto Di Maio avrebbero dovuto esprimersi uniformemente rappresentando alla Raggi e a Siri, e solo per ragioni di mera opportunità e correttezza, la necessità di un loro passo indietro in attesa di ulteriori risvolti.

In tutto questo can can ciò che più stupisce è il silenzio del Convitato di Pietra, del nostro Premier Nazionale, di colui che si è autoproclamato avvocato del popolo, Giuseppe Conte. Tuttavia, debbo riconoscere, e con una certa amarezza, che in fondo non può che restare muto. Che parla a fare? Del resto questi due “ragazzotti cazzari”, come li definisce simpaticamente Filippo Ceccarelli nel suo libro “Invano Il Potere in Italia da De Gasperi a questi qua”, pag. 862, sono il perfetto riflesso di quella che Bauman (sociologo e filosofo polacco) chiamava “società liquida” la quale si fondava sulla convinzione che il “cambiamento” fosse l’unica entità permanente e che, pertanto, l’incertezza fosse l’unica certezza. Insomma, una sorta di filosofia dell’oggi così e del domani chissà.

In sardo diremo: “oje goi e crasa gai”. E per davvero tutto è divenuto drammaticamente relativo proprio perché sembra che si sia liquefatta (in senso filosofico-sociologico) la società, o comunque, se non proprio tutta, sicuramente la maggior parte, e nella specie proprio quella parte che ha contribuito, col suo voto (che certamente non intendo contestare per la semplice quanto dirimente circostanza che trattasi di un diritto di ogni cittadino), alla proclamazione di questo pseudo governo. Una società relativa nella sua forma e per questo idonea ad adattarsi a qualsiasi contenitore, come appunto quello giallo-verde che, in senso socio-filosofico Baumaniano, è quanto di più “relativo” possa esistere nelle sue plurime e contraddittorie esternazioni e manifestazioni. Il nostro compianto Lubrano avrebbe detto: la domanda sorge spontanea, quanto è “liquido” questo governo? E la risposta sarebbe stata, purtroppo, lapalissianamente conseguente.

E’ evidente che indipendentemente da tutte le discussioni più o meno dotte che possiamo cercare di fare, non dobbiamo dimenticare la ragione vera e unica che ha condotto a legittimare l’esistenza di questo esecutivo, ovvero l’incapacità e la tendenza all’oscurantismo dei vari governi di “non eletti” che, sotto la Presidenza di Giorgio Napolitano, a partire da quello di Mario Monti per arrivare, tuttavia, anche fino ad oggi a quello di Giuseppe Conte (perché la percentuale di voti più alta alle politiche del 2018 era del centro destra unito comprendente la Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, e non certo i giallo-verdi), si sono succeduti deludendo e mortificando ogni nostra legittima aspirazione a godere di una politica giusta e positivamente risolutiva.

Intanto, perché da Monti in poi è mancato l’Uomo Politico di riferimento per così dire “solido” con tutte le conseguenze che, seppure più o meno già concretamente percepibili, ad onor del vero, sembrano ancora tutte da scoprire.

Quindi, perché, conseguentemente, lo Stato, a far data dal Governo Monti, ha cessato di essere quella entità superiore che garantiva ai singoli soluzioni omogenee per le problematiche contingenti per trasformarsi in un terreno di scontro caratterizzato dalla crisi delle ideologie (e quindi degli stessi partiti), e dall’impossibilità di individuare una autentica comunità di valori che consentisse ad ogni individuo di sentirsi parte di un qualcosa di più grande che ne interpretava i bisogni.

Infine, perché proprio questa tendenza alla liquefazione è stata la molla che ha consentito la affermazione dei penta stellati, ma anche dello stesso Salvini (che potremo annoverare tra i cc.dd. politici mordi e fuggi), sulla scena politica italiana identificandoli con quel movimento di indignazione di sapore squisitamente popolare che sa esattamente ciò che non vuole (o quantomeno crede di saperlo) ma, corrispondentemente, ignora i propri obiettivi e non è in grado di focalizzarli ed essere fattivamente concludente.

Difficile dire in che modo potremo mai sopravvivere in una società così incerta, precaria e scarsamente identitaria che aspira massimamente all’assistenzialismo come fonte immediata e sicura di reddito. Di certo, occorre prendere atto della situazione e fronteggiarla con strumenti nuovi tendenti tuttavia alla realizzazione di fini antichi (come suggeriva lo stesso Bauman) imperniati sulla promozione delle diverse realtà territoriali, su una economia fondata sulle persone, sulla realizzazione della coesione sociale idonea a creare sviluppo economico quale incentivo alla competitività delle imprese.

Nel frattempo, “io speriamo che me la cavo”.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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