Il 20 novembre di un anno fa veniva rapita Silvia Romano, la cooperante italiana sequestrata nel villaggio di Chakama in Kenya e, secondo quanto ricostruito anche dalla Procura di Roma e dai carabinieri del Ros, tenuta prigioniera in Somalia da un gruppo terrorista affiliato ad Al Qaeda.

Nelle ultime ore, 23 tra pirati e jihadisti appartenenti all'organizzazione Al-Shaabab , che sarebbero coinvolti nel caso, sono stati raggiunti da misure preventive personali e patrimoniali in Somalia.

Un "sequestro politico" quello della giovane, accusata dalla Jihad di fare proselitismo cristiano nella comunità dove la 24enne milanese si trovava come volontaria della Onlus Africa Milele, e che ha portato i terroristi a gestirla "con lo stesso protocollo adottato per le spie", spostandola più volte tra diversi gruppi interni all'organizzazione per ragioni di sicurezza.

Si tratterebbe di un gruppo di elite, denominato Amnyat (coinvolto in numerose altre attività criminali e di business illegale), composto da nove soggetti, tutti somali, e da una decima persona, qatarina, responsabile della gestione dell'ostaggio. Silvia Romano sarebbe stata nelle loro mani fino a fine settembre 2019, e durante questo periodo sarebbe stata anche visitata dal capo dei medici di Al-Shabaab, Abu Hamza.

La volontaria sarebbe poi stata trasferita a Jilib nelle mani di altri cinque jihadisti, posti sotto il comando di tale "Sufayan" (pirata già detenuto nel carcere di Baidoa, da cui potrebbe essere arrivato un contributo alle indagini sarebbe stato fondamentale per ricostruire le varie fasi del sequestro), per poi, a quanto risulta da informazioni di intelligence, essere nuovamente trasferita nella regione di Bakool sotto la responsabilità del capo della locale cellula di Al-Shabaab e di suo figlio, entrambi legati ai vertici dell'organizzazione terroristica.

(Unioneonline/F)
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