Non solo Hakan Sukur. C'è un'altra storia di un importante sportivo da conoscere se si vuole capire il motivo per cui i calciatori turchi si siano schierati apertamente con Erdogan.

Parliamo di Enes Kanter, cestista Nba dei Boston Celtic, da anni in prima linea nella battaglia contro il regime di Ankara.

Kanter ha scritto proprio in questi giorni una lettera al Boston Globe. "Come posso restare in silenzio? Ci sono decine di migliaia di persone in prigione in Turchia, tra cui professori, dottori, giudici, avvocati, giornalisti e attivisti. Rinchiusi perché hanno detto di non essere d'accordo con Erdogan. Centinaia di bambini stanno crescendo in celle strette e anguste al fianco delle loro madri. Democrazia vuol dire avere la libertà di parlare, non dover essere rinchiusi in galera per questo".

Ha ricostruito la sua storia la pagina Facebook "La giornata tipo", che si occupa di basket.

I guai per Enes Kanter partono da un post sui social, quello con cui - all'indomani del fallimento del golpe militare in Turchia - il cestista (che all'epoca era già in Nba, nell'Oklahoma) attacca Erdogan.

Apriti cielo. Dopo quel post, nel giro di poche ore riceve centinaia di minacce di morte, anche da diversi esponenti politici sostenitori del governo.

Dopo neanche un mese la polizia fa irruzione nella casa dei suoi familiari a Istanbul. Requisisce tutti gli apparecchi elettronici, da allora Kanter non ha più il numero di telefono dei familiari. Il fratello, più giovane di lui, viene bandito dalle nazionali turche, ora gioca in Spagna.

Non solo: il papà viene portato per cinque giorni in carcere, i passaporti dei genitori vengono annullati, in modo che non possano più lasciare la Turchia.

Passa qualche mese ed Enes Kanter viene disconociuto come figlio. Il padre scrive una lettera a Erdogan: "Enes non potrà più portare il nostro nome perché lo sta infangando. con profonda vergogna mi scuso con il nostro presidente e con tutti il popolo turco per avere un figlio del genere".

Kanter viene anche condannato, nel 2017, a quattro anni di carcere, per aver definito Erdogan "l'Hitler del XXI secolo". In quello stesso anno, mentre è in Indonesia (Paese molto legato alla Turchia) per delle attività benefiche, lo avvertono che le autorità locali lo stanno cercando per catturarlo. Così scappa in taxi all'aeroporto e prende il primo volo per l'Europa. Quando arriva a Bucarest scopre che Ankara gli ha annullato il passaporto e ha emesso un mandato di cattura nei suoi confronti. Riesce a rientrare negli Usa solo grazie all'intervento dei senatori dell'Oklahoma. Tuttavia diventa, formalmente, un apolide.

Sono stati persino perquisiti e arrestati dei tifosi turchi a cui aveva regalato le sue scarpe, un ragazzo che lo aveva votato sui social per l'All Star Game è finito in cella, così come un dentista di Istanbul che aveva la sua foto in studio.

Anche il padre, nonostante si fosse dissociato con quella lettera, è stato condannato nel giugno 2018 a 15 anni di carcere.

Kanter ha il terrore ogni volta che deve uscire dagli Usa. Quest'anno ha rinunciato a una trasferta londinese: "Lì è pieno di spie turche che vogliono arrestarmi o uccidermi", ha dichiarato. Non ha partecipato neanche al match contro i Toronto Raptors, sempre per non lasciare gli Usa.

In Turchia, dove l'Nba è molto seguita, le sue partite non vengono trasmesse da tre anni.

E la vita per lui non è facile neanche negli States: "Andare a pregare in moschea il venerdì non è semplice, spesso mi ritrovo accerchiato da persone che mi urlano 'traditore'".

Ma Erdogan non si illuda di zittirlo: "Più crescono le pressioni intorno a me più alzo la voce", scrive al Boston Globe.

"Ho la fortuna di essere sotto i riflettori e di sfruttare questa piattaforma per promuovere i diritti umani, la democrazia e la libertà personale. È una cosa molto più importante della pallacanestro", si legge ancora nella sua lettera al quotidiano. "Essere il portavoce di questi ideali per un turco vuol dire rischiare la prigione e la violenza da parte dei militari. Mi hanno chiamato terrorista, hanno chiesto all’Interpol di arrestarmi. Starei marcendo in galera se fossi tornato in Turchia. Restare lontano dalla mia famiglia è un sacrificio enorme, una sfida complicata da vincere. Ma le cose buone non ti vengono mai regalate, non sono mai semplici da conquistare. Mai”.

(Unioneonline/L)
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