Il Mostro di Firenze è la pagina di cronaca nera che ha scosso maggiormente l'opinione pubblica negli ultimi cinquant'anni.

Otto duplici omicidi, una beretta calibro 22 che rappresenta ancora oggi la chiave di volta di uno dei più grandi misteri italiani ma che non è mai stata ritrovata. Una mano ignota che ha ucciso e mutilato i corpi di giovani coppiette pronte a consumare il loro amore lontano da occhi indiscreti.

Se ancora oggi se ne parla, a distanza di cinquant'anni dal primo delitto, evidentemente la risposta che hanno dato le sentenze non è del tutto chiara per sancire la parola fine ad una storia troppo grande per essere raccontata in poche righe. Sembra però che siano emerse importanti novità in merito a questa torbida vicenda giudiziaria che si dirama lungo sentieri scoscesi e impervi.

Secondo quanto riportato da "La Nazione", dall'ultimo fascicolo aperto a carico del legionario Vigilanti, sono stati presi in analisi i reperti presenti nell’archivio corpi di reato. Non ce ne sarebbero molti.

La maggior parte dei reperti disponibili riguarda il delitto del 1985 in località Scopeti. Proprio in quella tenda canadese, il genetista Ugo Ricci ha cercato tracce biologiche da poter comparare con i dna presenti nella banca dati.

I sopralluoghi dove è stata uccisa la coppia di francesi (archivio L'Unione Sarda)
I sopralluoghi dove è stata uccisa la coppia di francesi (archivio L'Unione Sarda)
I sopralluoghi dove è stata uccisa la coppia di francesi (archivio L'Unione Sarda)

Da questa analisi, però, viene fuori una grossa falla investigativa; non sarebbero stati conservati i profili genetici di Giancarlo Lotti e Mario Vanni, compagni di merende, oggi defunti, condannati in via definitiva per aver commesso gli ultimi quattro duplici omicidi, compreso quello del 1985.

Su un paio di pantaloni presenti nella tenda è stato isolato un profilo genetico maschile denominato "Uomo sconosciuto 1". Un altro profilo genetico è stato isolato dalla lettera che il mostro ha spedito ai pm Vigna, Canessa e Flury, con dentro tre proiettili. Di chi sono questi profili? "Uomo sconosciuto 1" non appartiene a Jean Micheal; può essere del mostro? Oppure di tratta del dna di qualche soggetto con cui sono entrati in contatto poco prima del delitto e che non ha nulla a che fare con la vicenda? Il dna della lettera, invece, non sembra appartenere a Pacciani, non appartiene al medico perugino Francesco Narducci, morto nel lago Trasimeno nel 1985, non appartiene a Rolf Reinecke. A chi appartiene quel dna?

Mario Vanni (foto di repertorio)
Mario Vanni (foto di repertorio)
Mario Vanni (foto di repertorio)

Una lunga scia di sangue che ha macchiato in modo indelebile le campagne toscane, causando paura e sconforto all’interno delle famiglie che ogni sera aspettavano il rientro dei figli, altre invece hanno lottato con un dolore troppo grande per il loro cuore, che alla fine non ha retto; come è toccato a Renzo Rontini, papà di Pia, che fino all'ultimo ha cercato la verità sulla morte della figlia.

Cinquant'anni dopo il delitto Locci-Lo Bianco, i dubbi continuano ad essere tanti e le certezze poche, pochissime e gli unici punti fermi in questa enorme matassa investigativa sono le condanne dei Compagni di merende, ovvero Giancarlo Lotti e Mario Vanni per gli ultimi quattro degli otto duplici omicidi. Per quanto riguarda Pietro Pacciani, detto "Il Vampa", è emerso che i segni sul proiettile rinvenuto nel suo orto nel corso della maxi perquisizione nell'aprile del 1992 sarebbero il frutto di una prova artefatta e non di un inserimento del proiettile all’interno della camera della Beretta Calibro 22.

Qualcuno avrebbe voluto forzare i sospetti su Pacciani? Per quale motivo o interesse?

Mentre si chiude l’inchiesta sull'ex legionario Giampiero Vigilanti e sul medico Francesco Caccamo, perché il quadro indiziario risulta "fragile e incerto", la vicenda Pacciani suona come una bomba a cielo aperto e potrebbe aprire nuovi scenari.

"Si è sempre creduto che il ritrovamento del bossolo nell'orto di Pacciani non è stato "casuale" , sicuramente ha determinato poi tutta una serie di azioni che hanno condotto le indagini in una direzione ben precisa. Personalmente ho sempre creduto che i cosiddetti 'compagni di merenda' proprio estranei al caso non lo fossero, ma che in qualche modo avessero un 'ruolo"', ha aggiunto la dott.ssa Petrillo.

Per quanto riguarda Pietro Pacciani, ricordiamo che quegli indizi non sono stati sufficienti per condannarlo e che la Corte d’Assise D’Appello lo ha assolto, non confermando la sentenza di primo grado.

Giampiero Vigilanti e la pistola calibro 22 (foto wikimedia)
Giampiero Vigilanti e la pistola calibro 22 (foto wikimedia)
Giampiero Vigilanti e la pistola calibro 22 (foto wikimedia)

I FATTI - La Beretta calibro 22 "Long Rifle" inizia a sparare per la prima volta il 21 agosto 1968, a Lastra a Signa (Castelletti a Signa). "Aprimi la porta perché ho sonno ed ho il babbo ammalato a letto. Dopo mi accompagni a casa perché c’è la mi’ mamma e lo zio che sono morti in macchina": sono queste le parole che ha pronunciato il piccolo Natalino Mele quando si è trovato di fronte alla casa di Francesco De Felice. Il 21 agosto 1968 vengono brutalmente uccisi Barbara Locci di 32 anni, di origini sarde, e il suo amante Antonio Lo Bianco all'interno della loro Alfa Romeo Giulia. Il killer separa i corpi, fruga nell’autovettura e forse riveste la donna ma non asporta nessun organo.

Natalino si trovava sul sedile posteriore, era scalzo e dormiva. Rimane ancora un mistero come sia arrivato a casa del De Felice. Ci arriva da solo? La strada non era assolutamente asfaltata eppure i calzini del piccolo Natalino erano puliti. Qualcuno lo ha portato in spalla quella notte? Chi? Come ha fatto a percorrere 2 km e 100 metri lungo un sentiero impervio e senza scarpe? Domande che dopo cinquant’anni rimangono senza nessuna risposta e risuonano ancora nella mente degli investigatori.

Stefano Mele, marito di Barbara Locci, si autoaccusa sin da subito del delitto, successivamente cambierà più volte versione accusando gli altri amanti della moglie: Francesco Vinci, Salvatore Vinci e Giovanni Vinci e successivamente accusa Salvatore Mele e Pietro Mucciarini. L’arma del delitto non è stata mai trovata e Stefano Mele dice di averla gettata vicino al luogo del delitto, e dopo di averla riconsegnata a Salvatore Vinci. Gli inquirenti pensano si tratti di un delitto passionale. Stefano Mele è stato condannato per il delitto del '68 ma rimane comunque il dubbio che sia stato lui a sparare.

Barbara Locci (foto wikimedia)
Barbara Locci (foto wikimedia)
Barbara Locci (foto wikimedia)

IL CLAN DEI SARDI - Gli investigatori hanno comunque accertato che Mele, quella notte, si trovava certamente sul luogo del delitto e che il "clan dei sardi" ha avuto un ruolo fondamentale o perché ha conosciuto il killer o perché ha partecipato attivamente al primo delitto. Solamente così si spiega l’accusa concatenante che ha portato il clan dei Sardi in carcere e che li ha fatti scagionare con nuovi omicidi ogni qualvolta uno di loro finiva in carcere. E se tale modus fosse stato messo in atto anche nel periodo in cui Pietro Pacciani si trovava in carcere? Se il Mostro avesse tentato di far scagionare anche Pacciani? È ipotizzabile che il Mostro conoscesse le mosse degli inquirenti proprio perché la sua posizione lo portava ad essere all'interno delle indagini e quindi si muoveva di conseguenza.

IL MISTERO DELLA DIVISA - Ci sono alcuni elementi che farebbero pensare ad un "Mostro" in divisa come per esempio l’età anagrafica delle vittime, tutte sui vent’anni, che certamente non reagirebbero di fronte ad un uomo che si avvicina dopo aver rivelato la sua autorità chiedendo i documenti. Nel delitto del 29 luglio del 1984, in cui persero la vita Claudio Stefanacci e Pia Rontini, il portafoglio di Claudio risultava forato. Lo stava esibendo alla persona che ha sparato? Dopo il delitto di Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot dell’1985, il Mostro spedisce una busta anonima alla Procura della Repubblica di Firenze, indirizzata alla dottoressa Silvia Della Monica, contenente un lembo del seno della vittima. E se il vero "Mostro" avesse cercato in tutti i modi di lanciare un altro messaggio, un'altra sfida agli inquirenti per scagionare "Il Vampa" proprio come accadde con il clan dei Sardi molti anni prima? Forse il Mostro voleva dire agli inquirenti "non è lui il vero mostro cercate altrove"?

Questa è una ipotesi, una suggestione, che sopraggiunge anche seguito di un delitto avvenuto nel gennaio del 1992, a Barberino del Mugello, dove perdono la vita il 32enne Renzo Consigli e la moglie Antonietta Persiani di 31 anni. Un duplice omicidio che arriva dopo quasi sette anni di silenzio dall’ultimo delitto del Mostro. Non c’è nessuna mutilazione e non sembra che la coppia sia stata uccisa con la stessa arma utilizzata per gli otto duplici omicidi. Il killer ha esploso 9 colpi di calibro 7.65 su Renzo e 4 colpi su Antonietta, al viso e al petto. Il delitto è stato scoperto da un cacciatore in una domenica pomeriggio. Dalle indagini non sono emerse ombre sulla vita delle vittime. Si è ipotizzato un delitto passionale. È opera del Mostro?

Angelo Barraco
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