Il cielo pullula di corvi neri. Sorvolano come una contraerea la terra violata dei Balcani, dalla Macedonia alla Serbia. Sopra Pristina e Giacova, da sempre enclave sarda nel cuore del Kosovo liberato, il cielo è perennemente plumbeo. I pochi minareti rimasti intatti dopo i bombardamenti senza tregua della Nato irradiano canti evocativi islamici attraverso gracchianti altoparlanti della preistoria. Non è raro, però, in questo paesaggio dagli occhi tristi e segnati, scorgere le voci de «cuss'antica zente», evocata dal glorioso inno della Brigata Sassari da sempre in trincea «finas'a sa Croazia».

I Dimonios nei Balcani

Dopo quei bombardamenti violenti e radioattivi che, dal 24 marzo al 10 giugno del 1999, hanno ucciso migliaia di donne e uomini e devastato la ex Jugoslavia, i Dimonios sono stati da subito drammaticamente in prima linea. Come spesso è capitato nelle missioni estere sono sempre stati tanti (oltre 600) e nei luoghi più pericolosi. La Task Force "Falco" ha sempre parlato sardo in questa terra devastata dall'uranio impoverito. La Nato ne ha conficcato tonnellate, a suon di missili da 300 chili l'uno. Una quantità tale di radioattività da far dire agli esperti che quella terra andava tombata per sempre, come se fosse stata Chernobyl.

Mattarella e Vacca

E non è un caso che una delle prime vittime di quel maledetto U238, uranio impoverito, sia stato proprio un militare sardo, Salvatore Vacca, ucciso da quelle molecole infinitesimali respirate in quelle missioni. Da prima lo Stato negò persino la sua presenza in quello scenario. L'allora Ministro della Difesa, Sergio Mattarella, attuale Capo dello Stato, andò in Parlamento per dire che lì, nei Balcani, il militare sardo non c'era mai stato. Poco dopo si dovette smentire da solo raccontando, sempre alle Camere, che in quel teatro non si era mai fatto uso di uranio impoverito. L'ultima tesi fu eloquente: non vi erano evidenze che la malattia fosse stata conseguenza di quelle missioni. I familiari non si diedero per vinti, affidarono la causa ad un esperto giurista di questioni militari, Angelo Fiore Tartaglia, diventato poi il legale dell'Osservatorio delle vittime dell'uranio impoverito. Lo Stato perse ovunque, fino alla Cassazione.

Risarcimenti milionari

Non gli restò che risarcire copiosamente i familiari del giovanissimo militare sardo colpito da una forma tumorale direttamente connessa all'uranio impoverito. Da allora la storia giudiziaria delle vittime di quella tragedia ha segnato in lungo e in largo le vicende militari della Sardegna e non solo, con tantissime vittime di quel disastro "radioattivo" del Kosovo. Il Ministero della Difesa da quel momento ha fatto di tutto e di più per tentare di arginare le conseguenze giudiziarie che rischiavano di travolgere non solo le casse del Ministero di guerra in tempo di pace ma intaccare le stesse tasche dei Generali e Ministri responsabili di imperizia nella gestione della sicurezza degli uomini in missione. Quel filo rosso che lega quei teatri di guerra e la Sardegna ora, però, si fa sempre più stringente. Le ultime sentenze, infatti, sono inappellabili e come tali pietre miliari della giurisprudenza.

178 sconfitte di Stato

A mettere a segno il successo anche nelle ultime due decisioni giudiziarie è Angelo Fiore Tartaglia, l'avvocato della maggior parte delle vittime dell'uranio impoverito. Il legale che per ben 178 volte ha fatto soccombere il Ministero della Difesa reo di non aver tutelato e protetto i militari, nonostante fosse consapevole del pericolo legato alla presenza di uranio impoverito nei Balcani. Sentenze giunte all'estremo grado di giudizio e che hanno un connotato indelebile: i militari che sono stati in teatri di guerra e che hanno contratto malattie riconducibili ai metalli pesanti e alle nanoparticelle generate da esplosioni a grandissime temperature sono vittime dirette di quelle missioni. Un nesso causale di fatto automatico. Prove scientifiche che non hanno bisogno di una certezza assoluta, come hanno scritto sia il Consiglio di Stato e per ultima due giorni fa la Corte dei Conti.

Le squadre nucleari nel poligono sardo (L'Unione Sarda)
Le squadre nucleari nel poligono sardo (L'Unione Sarda)
Le squadre nucleari nel poligono sardo (L'Unione Sarda)

Nanoparticelle

Significa che quelle nanoparticelle rinvenute nei tessuti dei militari hanno il nome e cognome delle armi che le hanno generate. La chiave di volta per Tartaglia è uno studio dell'Istituto superiore di Sanità che da qualche decennio misura la presenza di nanoparticelle e metalli pesanti nel corpo umano degli italiani, sardi compresi. Quei parametri hanno costituito di fatto "il bianco naturale", ovvero la base di calcolo per valutare se ci fossero delle alterazioni nella popolazione militare e civile vicina ai poligoni. «I risultati che abbiamo raggiunto con gli scienziati dell'Università di Torino sono eloquenti» - spiega Tartaglia. «Nei militari e civili andati nei teatri di guerra - aggiunge il legale - sono state riscontrate misure esorbitanti di metalli pesanti e nanoparticelle, superiori anche di 3/400 volte la norma. Sono state accertate, sia nel sangue che nelle biopsie, sostanze cancerogene prodotte esclusivamente da esplosioni ad altissime temperature. Metalli non presenti in natura, come l'uranio impoverito».

Tumori latenti

Non è finita: «Si è accertato - rincara la tesi l'avvocato delle vittime - che ogni dose, anche minima di quelle sostanze, può generare, anche a distanza di 20/30 anni, quelle infiammazioni che diventano la causa scatenante dei tumori, in molti casi letali dei militari e dei civili. Non è nemmeno possibile individuare il tipo di tumore che generano. Con le sentenze che abbiamo acquisito - ribadisce il legale - i Giudici hanno stabilito che è sufficiente l'esistenza dell'elemento scatenante per riconoscere il diritto al risarcimento del danno». La sentenza del Consiglio di Stato e quella della Corte dei Conti non lasciano margini di manovra anche per i poligoni sardi.

Chiamata alla guerra

Il diavolo nero del Ministero della Difesa ne è convinto al punto di esortare una chiamata alle armi, legali, di tutti i militari sardi colpiti da malattie dopo aver prestato servizio nei poligoni militari dell'Isola. «La Corte dei Conti - suggerisce Tartaglia - si è espressa su un caso di un militare che ha contratto la malattia, pur svolgendo la sua funzione all'interno di un ufficio, in un teatro contaminato come i Balcani. La situazione dei Poligoni sardi è peggiore. Qui da 50 anni la Nato, e non solo, spara ogni porcheria, dal Torio altamente radioattivo alle nanoparticelle che generano un cluster ambientale inquinato. Le due sentenze danno la possibilità ai sardi di rivolgersi con efficacia alla giustizia civile: il nesso causale tra la malattia e il luogo di lavoro è, infatti, di fatto accertato nella massima sede di giudizio».

Uranio impoverito esploso dalla Nato in Serbia (L'Unione Sarda)
Uranio impoverito esploso dalla Nato in Serbia (L'Unione Sarda)
Uranio impoverito esploso dalla Nato in Serbia (L'Unione Sarda)

Dall'Isola alla Serbia

Nei prossimi giorni Angelo Fiore Tartaglia volerà nei Balcani, in Serbia. Un pool di avvocati gli ha chiesto di guidare una causa internazionale contro la Nato per le vittime militari e civili, conseguenza di quei bombardamenti nefasti all'uranio impoverito. Prima di partire, però, riguarda le carte della Procura di Cagliari. «Ci sono gli elementi per una grande causa civile di risarcimento della Sardegna per disastro ambientale», afferma il legale che ha messo spalle al muro il Ministero della Difesa sino all'ultimo grado di giudizio. E conclude: «Non bisogna perdere tempo. Quei poligoni hanno provocato devastazione e malattie e lo Stato deve risarcire i sardi». A Teulada, intanto, i missili riecheggiano a distanza il dramma della terra dei corvi, mai così vicina alla Sardegna.

Mauro Pili
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