Colpevole, senza se e senza ma. L'Eni è "il soggetto responsabile", con le sue società, prima Syndial e poi Eni Rewind, del gravissimo inquinamento che dagli anni settanta ai giorni nostri ha devastato l'area industriale di Porto Torres, dai terreni alle profonde falde acquifere, sino alle conseguenze sullo specchio acqueo marino. Quella pubblicata ieri dal Tar Sardegna è molto più che una sentenza storica, si tratta di una decisione che segna un cambio di passo imponente sulle grandi questioni ambientali dell'Isola. Per la prima volta il colosso di Stato deve rispondere di gran parte dell'inquinamento che ancor oggi rende la zona industriale di Porto Torres e l'intero nord Sardegna una delle aree più colpite dal disastro ambientale.

Battaglia legale

La battaglia legale è stata lunga e incessante, durata sette lunghissimi anni sino alla pubblicazione della sentenza che mette all'angolo il colosso industriale. I Giudici della seconda sezione del Tar Sardegna, Presidente Francesco Scano, Giudice estensore della sentenza Grazia Flaim e Giudice Consigliere Gianluca Rovelli non hanno guardato in faccia a nessuno. Il contenzioso era scattato il 13 agosto del 2013. Era stato il dirigente del settore ambiente della Provincia di Sassari a chiudere il procedimento per l'individuazione del soggetto responsabile dell'inquinamento della falda acquifera in area "Carbondotto", inserita nel Sito di Interesse Nazionale per i gravi inquinamenti industriali. L'ordinanza della Provincia fu un colpo durissimo per l'ente petrolifero che aveva sempre cercato di attuare la politica dei rattoppi e di sfuggire in ogni modo alla croce dell'inquinamento e al denaro per le bonifiche. Il dispositivo perentorio dell'ente territoriale chiamò in causa senza mezzi termini la società Syndial Attività Diversificate Spa, individuata come soggetto responsabile e come tale obbligata a provvedere senza indugi alla messa in sicurezza di emergenza, alla bonifica e al ripristino ambientale dell'intera area.

Bonifiche da pagare

Opere per miliardi di euro, imponenti quanto il grado di devastazione ambientale che la relazione tecnica aveva fatto emergere in tutta la sua gravità. L'Eni e le sue società non ne volevano nemmeno sentire di pagare quella montagna di denaro. Pensavano di poter sfuggire all'obbligo rifacendosi alla storia, alla Sir di Rovelli che aveva impiantato lì, davanti all'Asinara, a due passi dalla Pelosa, il più pesante degli impianti industriali. Gli eredi di Enrico Mattei non ci pensano nemmeno di accettare la decisione della Provincia. La società di Stato fa scendere in campo i suoi legali e dichiara guerra all'ente intermedio e a tutti coloro che vogliono fargli pagare pesantemente quell'inquinamento.Vengono impugnati tutti i provvedimenti provinciali, quelli dei comuni e della stessa agenzia ambientale della Regione. Passano 2.000 giorni, sino al 31 maggio dello scorso anno.

La decisione invocata

L'Eni chiede al Tar di andare a decisione, per evitare che la causa cada in perenzione. Il 16 aprile del 2020 i signori del cane a sette gambe si giocano tutte le carte. Ottantasei pagine di relazione per tentare di smontare l'Istruttoria tecnica della Provincia di Sassari. Chiedono insistentemente di passare dalla contestazione dell'art.244 al 245. Non roba di poco conto. Con la contestazione degli uffici di Piazza d'Italia, nel cuore della capitale sassarese, l'Eni è il "soggetto responsabile" del disastro, nel secondo caso (art.245) tenta la strada del "proprietario incolpevole", come dire: mi assumo l'onere della bonifica ma non sono responsabile dell'inquinamento. E' fin troppo evidente che non si tratta di differenza appianabili con un vocabolario. Per colmare la differenza servono miliardi, non quelli di un povero "incolpevole" ma quelli di un ricco "responsabile". I Giudici del Tar non si fanno intenerire e nella sentenza storica non lasciano margini: l'Eni è il "soggetto responsabile" dell'inquinamento e del nesso causale tra la gravissima contaminazione anche cancerogena e l'attività esercitata dalla società e le sue collegate nel sito industriale.

Minciaredda

Sotto accusa c'è la discarica di rifiuti tossici e nocivi di Minciaredda, teatro delle più nefaste attività di smaltimento di ogni genere di inquinamento. Le società del gruppo Eni sono accusate non solo di aver generato quel grado elevatissimo di inquinamento ma anche di non aver fatto quanto necessario per arginare "la propagazione delle sostanze inquinanti dall'area di Minciaredda alla falda acquifera". Il Tar fa proprie le valutazioni dell'organo tecnico della Provincia: la barriera realizzata dall'Eni a 24 metri di profondità è praticamente inutile o insufficiente.

Cento metri di profondità

I prelievi dei campioni d'acqua a cento metri di profondità hanno fatto rilevare la gravità dell'inquinamento che aveva "viaggiato" sotto terra per oltre 700 metri di lunghezza. Sono state rinvenute sostanze cancerogene, idrocarburi totali e metalli pesanti mille volte superiori alle norme. La relazione della società incaricata dai vertici dei petrolieri di Stato viene cestinata. I giudici scrivono: «l'amministrazione provinciale ha svolto gli approfondimenti istruttori in modo documentato e ampiamente motivato sviluppando coerenti conclusioni e pervenendo ad un giudizio finale di addebito delle responsabilità in capo all'Eni». Il ricorso del colosso di Stato è rigettato. Bocciato con una sentenza di 48 pagine, una "letio" di diritto su inquinamento e responsabilità.

Gli assenti

Con un dettaglio non di poco conto: all'atto della costituzione in giudizio, nel 2013, non si sono presentate né la Regione né la Provincia, tantomeno i comuni di Sassari e di Porto Torres. E' rimasto in campo solo il ministero dell'Ambiente. Per il colosso di Stato la partita sembrava facile viste le clamorose assenze. I giudici del Tar non si sono preoccupati e hanno deciso: l'Eni è il soggetto responsabile dell'inquinamento e del mancato risanamento. Ci sarà l'appello, in ballo ci sono bonifiche miliardarie che l'ente petrolifero potrebbe essere chiamato a pagare una volta per tutte. E gli assenti al primo grado di giudizio farebbero bene a presentarsi al Consiglio di Stato, giusto per difendere la Sardegna e i sardi dagli "incolpevoli" inquinatori.

Mauro Pili
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