"Solo il 3,6% dei detenuti ha lasciato il carcere, nel mese di aprile, durante la pandemia del coronavirus in Sardegna. Un numero irrisorio rispetto ai presenti con pene brevi e alle persone con patologie e disturbi psichici e/o in doppia diagnosi. Pochi se si pensa che nella nostra isola si trovano anche tre colonie penali. Ancora una volta, anche davanti a un grave rischio di diffusione di un virus pericoloso, il sistema detentivo nell'isola si conferma particolarmente rigido e, gravando pesantemente sugli operatori penitenziari, sembra voler sempre considerare la pena come una vendetta sociale".

Lo sostiene in una dichiarazione Maria Grazia Caligaris (Socialismo Diritti Riforme), con riferimento ai dati diffusi dal Ministero della Giustizia, relativi al mese di aprile.

"I cittadini privati della libertà - viene fatto osservare - sono risultati al 30 aprile 2.125 erano 2.202 il 31 marzo. In un mese, dunque, si sono ridotti di 77 unità, di cui 33 stranieri (42,8%) e 2 donne. Sono anche diminuiti i posti regolamentari da 2.710 a 2.679 per effetto di lavori di adeguamento a Isili e a Bancali. Il maggior numero di persone che hanno varcato la soglia delle strutture penitenziarie era detenuto a Uta. Non si conoscono le ragioni che hanno permesso loro di uscire dall'Istituto. Presumibilmente si tratta di 20 ristretti, su 571, che hanno trovato ospitalità in comunità terapeutiche e/o ai domiciliari", ha detto ancora.

"Dopo Cagliari, è stata la Casa Circondariale di Sassari a vedere ridotta la presenza di detenuti dentro le celle. Diciassette di loro, su 433, hanno così lasciato l'Istituto. Nell'elenco, Pasquale Zagaria, l'unico nominativo di cui si abbia avuto notizia a cui è stata concessa una pena alternativa per motivi di salute. Seguono nell'ordine decrescente Nuoro (11), Arbus e Oristano (7), Onanì-Mamone (6), Isili (5), Alghero (4), Tempio (1). L'unico Istituto dove si è registrato un aumento di presenze è stato il San Daniele di Lanusei cresciuto di una unità. Mentre un altro detenuto ha lasciato la semilibertà".

"Un quadro insomma - conclude Caligaris - che non appare confortante anche perché in questi mesi hanno dovuto affrontare le pesanti difficoltà gli operatori, agenti e funzionari giuridico-pedagogici, i Sanitari e i Direttori degli Istituti. I detenuti d'altra parte hanno dovuto subire quasi un totale isolamento, con le limitazioni imposte per sicurezza ai colloqui con i familiari avendo garantite solo le telefonate e le videochiamate, senza la possibilità di ricevere pacchi e preoccupati per quanto avveniva dentro e fori dalle strutture penitenziarie. Senza dimenticare chi, in precarie condizioni di salute, a causa del covid19, ha dovuto rinunciare alle visite di controllo. L'auspicio è che al più presto sia possibile garantire piena agibilità a tutte le strutture anche con una presenza più forte e significativa del volontariato".

(Unioneonline/F)
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